David abdica, ma a Cagliari sarà sempre Re

David abdica, ma a Cagliari sarà sempre Re
venerdì 29 marzo 2013, 19:46Il punto
di Gabriele Lippi
Gabriele Lippi, giornalista professionista e redattore per Lettera43.it, è da sempre tifoso del Cagliari e tra i primi collaboratori di TuttoCagliari.net

Ricordi, sono quelli che ti fregano. Come quando sei nel bel mezzo di una conferenza stampa, l'ultima e forse la più importante della tua carriera, e devi dire quella parola che non avresti mai voluto dire, e che nessuno voleva sentire: «Basta».
Suazo ha smesso di giocare. La notizia è arrivata all'improvviso, sebbene non a sorpresa. In realtà David non giocava più da un pezzo. La sua ultima partita è stata l'11 aprile 2012, con la maglia dell'Honduras. Un'amichevole contro la Costa Rica, un gol, il primo dopo due anni, l'ultimo di una lunga serie.

Per un'intera generazione di tifosi del Cagliari Suazo non è stato un giocatore come tanti altri. Con tutto il rispetto per i grandi giocatori che hanno vestito la maglia rossoblù e senza voler essere blasfemi, Suazo è stato il nostro Gigi Riva.
Re David, la Pantera, la Freccia Nera. Lo chiamavamo così. Perché quando partiva verso l'area di rigore avversaria con quel suo passo felpato e lungo, elegante e possente allo stesso tempo, ci faceva uscire di testa. Quando poi esplodeva quel destro e gonfiava la rete, la domenica diventava all'improvviso bellissima.

Otto anni non si possono scordare, e non è solo per i 102 gol segnati in 276 partite, per i numeri che lo rendono il più grande marcatore della storia del Cagliari dopo Rombo di Tuono. No, non è solo per questo.
Aveva e ha quel modo di sorridere, David, timido e impacciato, così diverso dal suo modo prepotente di stare in campo, che rendeva impossibile non volergli bene. Aveva un modo di comportarsi da ragazzo umile, da campione disponibile, sempre vicino alla gente e alla terra che ha amato e in cui è diventato prima uomo, poi marito, poi padre.

Quando andò via per giocare nell'Inter e coronare il sogno di una grande squadre, di uno scudetto, della Champions League, scrissi un articolo su un piccolo sito di sport.Ero un giovane ragazzo che sognava di fare il giornalista e credeva ancora nel calcio romantico. Forse proprio per questo ebbi il coraggio un po' ingenuo di stamparlo, metterlo in una busta con il mio indirizzo e il mio numero di telefono, e incastrarlo nel portone di casa sua.
La settimana dopo a casa mia suonò un corriere, aveva una busta di carta, grande e morbida. Quando la aprii vidi una maglia rossoblù, il numero 9 sulla schiena, il nome Suazo sulle spalle, e una dedica scritta con un pennarello indelebile: «A: Gabriele. Con affetto. David Suazo».
Ancora oggi, che di anni ne ho quasi 30, che sono molto più disincantato riguardo al calcio, quello resta il mio più bel ricordo di tifoso. Non so quanti campioni l'avrebbero potuto fare, ma lui lo fece e per me fu un'emozione indescrivibile.

Quando tornò a Cagliari, nell'estate del 2011, per rimettersi in gioco e provare a ripartire ancora una volta, io ero lì, ad Assemini, stavolta da cronista, per raccontare il ritorno del Re. Aveva 31 anni, ma ancora quel sorriso da 20enne del giorno in cui arrivò in Sardegna per la prima volta. Qualche ruga in più sul volto, ma lo stesso fisico asciutto e la stessa, identica, andatura ciondolante e quel vezzo di toccarsi continuamente il retro della coscia.
Non potevamo capire che in realtà non ne aveva più, forse non volevamo capirlo. Averlo ritrovato era troppo bello per poter pensare che il sogno finisse ancora prima di iniziare. Poi la rottura, con Cellino, ma non con la piazza. Il presidente, che l'aveva definito un figlio, che gli aveva detto che decidere se tornare o meno dipendeva solo da lui, lo cacciò, e non glielo disse nemmeno di persona.
David andò via, firmò col Catania, ma forse qualcosa dentro di lui si era già rotto. Non tornò mai a essere quello di una volta, giocò sei spezzoni di partita, ma forse nemmeno lui ci credeva più. Il Viale del Tramonto che aveva imboccato anni prima era giunto al suo termine.

Correva come nessuno David, ma quei muscoli potenti come pistoni e fragili come il cristallo, gli stessi che gli hanno permesso di volare, ora lo costringono a restare a terra. Ci ha messo un anno per accettarlo, ma alla fine non ha potuto fare altrimenti.
Cagliari non lo dimenticherà mai e lo aspetta, per un ultimo saluto, quello che non poté esserci nell'estate del 2011, quando lo costrinsero a lasciare la squadra mentre era in ritiro a Tempio per un'amichevole.
Se c'è un posto dove devi dire addio al calcio, David, quello è il Cagliari, se c'è una maglia che devi indossare per l'ultima volta, è quella rossoblù col numero 9. La stessa che hai voluto fosse presente mentre annunciavi il tuo addio, accanto a quella dela Nazionale dell'Honduras. Noi ti aspettiamo. Grazie di tutto.