Da Assago a Bergamo, la storia di Palestra raccontata da chi lo ha allenato. Pasqualone: "Fin da piccolo aveva qualcosa in più degli altri"

Da Assago a Bergamo, la storia di Palestra raccontata da chi lo ha allenato. Pasqualone: "Fin da piccolo aveva qualcosa in più degli altri"TUTTOmercatoWEB.com
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Ieri alle 21:45News
di Vittorio Arba

Atalanta-Cagliari non è una partita come le altre per Marco Palestra. Per lui, cresciuto calcisticamente lontano dai riflettori, il confronto con il suo passato e il suo presente rappresenta una tappa simbolica di un cammino iniziato molti anni fa, sui campi dell’hinterland milanese. Prima di affermarsi tra Atalanta e Cagliari, il giovane esterno aveva già lasciato il segno tra Assago e Accademia Internazionale, due realtà fondamentali nella sua formazione. È proprio da lì che prende forma il racconto di chi lo ha visto muovere i primi passi e intuire, con largo anticipo, di avere davanti qualcosa di speciale. “Prendeva palla, partiva e dribblava tutti. Era una spugna, qualsiasi cosa gli spiegassi la imparava subito“. A parlare è Luigi Pasqualone, suo primo allenatore all’Assago, che ha raccontato gli inizi di Palestra ai microfoni di Gianlucadimarzio.com. I ricordi tornano nitidi: “Aveva una velocità diversa” – spiega – “era ambidestro già da piccolo, fuori dal campo educatissimo, rispettoso e solare con gli altri”. Qualità umane prima ancora che tecniche, confermate anche da Matteo Borgese, che lo ha allenato successivamente all’Accademia Internazionale, prima del trasferimento all’Atalanta: “Voleva sempre migliorare, uno di quelli sempre presenti. La famiglia ha fatto la differenza, vivevano il calcio come un divertimento per Marco, non come una priorità esasperata”. Oggi protagonista in Serie A, Palestra ha avuto il pallone tra i piedi fin da piccolissimo. Tra i 5 e i 9 anni cresce all’Assago, vicino casa, dove emergono subito tratti distintivi ben oltre l’età anagrafica. “Era un bambino educatissimo, viene da un’ottima famiglia” – racconta ancora Pasqualone – “Aveva una voglia incredibile e imparava in fretta”. Un episodio resta emblematico: “Un giorno gli spiego che è ideale fare un certo tipo di finta per uscire dalla pressione dell’avversario dalla linea di fondo. Una sola spiegazione. Assorbe subito: la domenica capita la situazione perfetta e mette in pratica”. Segnali chiari di un talento già maturo nella comprensione del gioco. “Era evidente che avesse qualcosa in più degli altri. Ad esempio, una velocità pazzesca. Magari gli facevano un passaggio in profondità e dicevi ‘è lungo, non ci arriva’ invece ci arrivava sempre”. Anche oggi, a distanza di anni, il giudizio non cambia: “L’ho incontrato pochi mesi fa qui dove è nato e non è cambiato di una virgola: umile, educato, rispettoso”. Il talento di Palestra era accompagnato da un entusiasmo contagioso: “Quando gli facevi un complimento si gasava tantissimo. Aveva una finta praticamente impossibile per un bambino di 6 anni, una sorta di doppio passo con cui andava sempre via.

Si capiva già che aveva le potenzialità per diventare un professionista”. C’è spazio anche per un ricordo affettuoso: “Da piccolino non era ancora capace di allacciarsi le scarpe, gliele allacciavo io e gli dicevo: ‘ricordati chi te le allacciava da bambino quando sarai famoso’. E lui… si è ricordato: quando ci siamo rivisti chi abbiamo scherzato”. Il tifo resta immutato: “Faccio sempre il tifo per lui: spero che arrivi presto il primo gol e, da milanista, se dovesse segnare al Milan esulterei. Sento anche mia una piccolissima parte dei suoi traguardi: ho provato a trasmettergli l’amore per questo sport. Il suo futuro? può giocare in nazionale per anni, non vedo giocatori più forti nel suo ruolo”. Dopo l’esperienza all’Assago, Palestra prosegue il suo percorso all’Accademia Internazionale, dove consolida tecnica e personalità. Borgese ricorda un ragazzo già consapevole dei propri mezzi: “Sono rimasto vicino al ragazzo, ci siamo sentiti tre giorni fa. Ci punzecchiamo sui social, ma non per il calcio: ormai non posso più dirgli niente di calcio”. In campo, il suo ruolo era già fluido: “Giocavamo a 7: lui, come oggi, amava gli uno contro uno. E per sfruttarne la falcata dovevamo dargli spazio fronte alla porta, quindi giocava in difesa o in mezzo. All’Atalanta i primi anni non faceva l’esterno ma addirittura anche il trequartista”. La crescita non è stata immediata, ma costante: “Ricordo che l’Atalanta aveva due gruppi della sua annata e lui era sceso nel secondo gruppo perché nel primo non giocava. Non era un precoce… ma compensava con tecnica e accelerazione”. Una maturazione accompagnata dalla lucidità della famiglia: “Finché si diverte lasciamolo giocare, poi ci penseremo”. La scelta bergamasca si rivela decisiva, nonostante altre possibilità: “Noi siamo centro di formazione Inter e anche l’Inter lo seguiva. Poi un pomeriggio il papà mi disse dell’Atalanta: si sono mossi con decisione”. Prima dei saluti, un ultimo aneddoto che racconta l’uomo prima del calciatore: “Io ho una passione per le calze variopinte. Marco al tempo se ne deve essere accorto e senza dirmi niente a fine anno mi ha regalato un paio di calze che conservo ancora”. Un gesto semplice, ma emblematico. Come il percorso di Marco Palestra, costruito con educazione, pazienza e talento. E che ora, passo dopo passo, sembra destinato a portarlo sempre più lontano.