ESCLUSIVA TC - LORENZO MINOTTI: "Che rimpianto lo spareggio col Piacenza! Se ci fossimo salvati, forse oggi sarei ancora in Sardegna. Sulemana profilo interessante: è su questi giovani che deve scommettere il Cagliari"

Un fuoriclasse approdato in Sardegna per una toccata e fuga. Veloce, ma non indolore: la sua esperienza al Cagliari si è infatti conclusa con la “maledetta”, come lui stesso la definisce, retrocessione del 1997 nello spareggio col Piacenza, lasciandogli un infinito senso di frustrazione e di amarezza.
Un palmarès invidiabile, costruito tutto - da capitano - con la maglia del Parma: una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e una Coppa Uefa. Vittorie su vittorie con una squadra straordinaria, portata (quasi) sul tetto d’Italia e d’Europa. Eppure rimane il rammarico per quel neo nella sua carriera che, se potesse, cancellerebbe in un battito di ciglia.
Lorenzo Minotti, nonostante la brevissima militanza in rossoblù, ha assaporato l’accoglienza, la bellezza e la magia dell’Isola, tanto da rimanerne profondamente legato e da cullare, ancora oggi, un rimpianto: “Se al San Paolo ci fossimo salvati avrei potuto mettere radici in Sardegna, stabilirmi lì definitivamente”.
Lorenzo, iniziamo dal principio: il suo arrivo a Cagliari. Campionato 1996-’97, i rossoblù arrancano in classifica e lei viene chiamato per puntellare un reparto difensivo che fa acqua da tutte le parti.
“Ricordo nitidamente come maturò il mio sbarco in Sardegna. Una sera ero a letto e guardavo la televisione; mi squillò il telefono e dall’altro capo c’era Carlo Mazzone: ‘Che stai a fa’? Vuoi fare ancora il giocatore?’, mi chiese. Così, di punto in bianco. Tra l’altro non è che precedentemente io avessi avuto con lui particolari rapporti. Così cominciò un’avventura che, di fatto, rappresentò una ‘sliding door’, una porta scorrevole della mia carriera e della mia vita.
Nell’Isola io e la mia famiglia ci trovammo meravigliosamente: dalla gente ai luoghi, dal cibo al clima. Tutto era perfetto. Tanto che – e qui torno al concetto di ‘sliding door’ – con ogni probabilità se quel maledetto spareggio contro il Piacenza fosse finito in modo diverso io probabilmente oggi vivrei ancora in Sardegna. Mi sarei proprio trasferito. I sardi sono persone stupende che ti danno tutto senza chiedere niente in cambio, che ti accolgono a braccia aperte e ti aprono la porta di casa. Sono tuttora innamorato di quella terra fantastica e abitata da gente semplice ma straordinariamente generosa.”
Venendo invece all’aspetto calcistico, cosa ricorda della rincorsa salvezza che, da una situazione di classifica drammatica, vi portò a un passo dal raggiungere un obiettivo insperato?
“Rimane il grande rammarico di non aver completato una rimonta clamorosa. Io arrivai a novembre e, visto il pessimo girone d’andata, la squadra fu ritoccata pesantemente. Ci volle dunque un po’ di tempo prima di trovare la quadratura del cerchio. Tuttavia, il girone di ritorno fu condotto a ritmo decisamente spedito. Recuperammo tutti i punti di svantaggio fino ad arrivare allo spareggio di Napoli. Su questa partita mi voglio soffermare un attimo: nei quindici giorni che la precedettero successero tantissime cose rocambolesche. Uno scrittore avrebbe potuto tirarci fuori un romanzo. Poi giocammo praticamente in casa, perché il San Paolo era vestito di rossoblù. Ma non bastò.”
Il Piacenza, con tutta franchezza, non sembrava affatto disporre di un organico migliore rispetto a quello del Cagliari. Anzi, dal punto di vista tecnico-tattico gli emiliani arrivarono allo spareggio da sfavoriti. Cosa accadde in campo, come mai la squadra non fu brillante e disinvolta come nelle ultime apparizioni in campionato?
“Avevamo un po’ di problemi di formazione. Tanto per cominciare gli stranieri erano appena tornati dalle gare disputate con le nazionali, e in particolare i sudamericani – come O’Neill e Dario Silva, che per noi erano fondamentali – erano arrivati a Napoli un po’ affaticati e non nella condizione ottimale. C’erano inoltre un paio di squalificati e, per giunta, una pedina chiave come Muzzi in settimana aveva avuto la febbre altissima, a causa di un virus che gli aveva attaccato il figlio. Insomma, mancavano dei pezzi. In più non è che i rapporti tra Mazzone e Cellino fossero idilliaci in quel periodo: c’erano stati alcuni screzi dopo l’ultima partita di campionato contro il Milan.
A causa di tutti questi motivi non arrivammo allo spareggio con la mente sufficientemente sgombra e focalizzata sull’obiettivo, presupposto imprescindibile per far fronte a una partita così importante.”
Scorrendo i nomi della rosa, quel Cagliari non pareva certo una squadra destinata alla serie B. Magari con Mazzone in panchina fin dall’inizio della stagione e con i rinforzi a disposizione fin da settembre si sarebbe potuto fare un campionato ben diverso. Lei è d’accordo?
“Sì, e non solo per il valore oggettivo dei giocatori, come diceva lei, ma anche per l’apporto che un uomo navigato e smaliziato come Carletto Mazzone avrebbe potuto dare fin dalla preparazione estiva pre-campionato. In effetti, la squadra scaturita dalla campagna di rafforzamento autunnale aveva una sua logica dal punto di vista tattico e delle qualità importanti, che avrebbero consentito di lottare per ben altri obiettivi.
A maggior ragione, devo ripetermi: se ci fossimo salvati ci sarebbero stati i presupposti per costruire un Cagliari di buon livello, forte di una solidità e di una base di squadra tale da consentire perlomeno di mantenere la categoria per tanti, tanti anni.”
Passiamo all’attualità: il ritorno del Cagliari in serie A. Secondo lei quali sono le prospettive nella massima serie di una squadra che, comunque, ha appena iniziato la campagna di rafforzamento sul mercato?
“Difficile fare una previsione, dal momento che siamo, appunto, alle prime battute del calciomercato. Ma si parte da un punto fermo: avere Ranieri in panchina è una garanzia. E non solo sotto il profilo tecnico-tattico, ma anche per l’attaccamento e i valori che sa trasmettere alla squadra. Lui vorrà certamente solo giocatori che sappiano entrare subito in perfetta sintonia coi tifosi e con l’ambiente, e creerà le basi morali, oltre che tecniche, per costruire una compagine competitiva.
Dalle prime voci di mercato sembra che il Cagliari si stia muovendo su profili di giocatori ‘futuribili’, giovani sui quali investire e da valorizzare in prospettiva.”
A questo proposito, è degli ultimi giorni la notizia ufficiale dell’ingaggio di Sulemana dal Verona. Lei lo conosce bene? Che tipo di giocatore è?
“È un centrocampista molto aggressivo, molto dinamico, con le caratteristiche giuste per giocare, a mio parere, soprattutto in un centrocampo a tre. Magari al fianco di un giocatore tecnico, che sappia dettare i tempi e far girare la squadra. Si tratta di un profilo interessante, che può avere ampi margini di crescita e di miglioramento. L’anno scorso è stato tra le rivelazioni del Verona, soprattutto nella parte finale della stagione. È proprio quel tipo di calciatore, giovanissimo e di belle speranze, sul quale deve puntare il Cagliari.”