ESCLUSIVA TC - Lulù Oliveira: "Non sapevo neppure dove fosse la Sardegna. Inspiegabile il crollo in Uefa a San Siro con l'Inter".

ESCLUSIVA TC - Lulù Oliveira: "Non sapevo neppure dove fosse la Sardegna. Inspiegabile il crollo in Uefa a San Siro con l'Inter".TUTTOmercatoWEB.com
martedì 16 maggio 2023, 14:38Primo piano
di Matteo Bordiga

Il primo anno in Sardegna fu croce e delizia dei tifosi rossoblù, tra numeri di alta classe, dribbling brasiliani e qualche errore di troppo sotto porta. A partire dalla seconda stagione, culminata nell’elettrizzante cavalcata europea, divenne l’idolo indiscusso del Sant’Elia, coi suoi colpi geniali, le sue fughe irresistibili e i suoi gol decisivi che hanno scritto pagine indelebili di storia cagliaritana.

Luis Oliveira, per tutti “Lulù”, si è ritagliato un posto speciale nel cuore dei sardi, che l’hanno “adottato” fin da subito e si sono innamorati del suo passo cadenzato, delle sue movenze felpate e della sua travolgente simpatia.

Lulù, che ricordi ha del suo arrivo a Cagliari nel 1992? Come è approdato in maglia rossoblù e quale è stato il primo impatto con la Sardegna?

“Un giorno, ai tempi dell’Anderlecht, il mio procuratore Sergio Berti mi disse che alcuni dirigenti di una squadra italiana sarebbero venuti a vedermi giocare. Io ero totalmente concentrato sul mio team, con il quale le cose andavano a gonfie vele: quell’anno, infatti, vincemmo il campionato. Cercai di capire chi fossero i dirigenti che erano venuti a osservarmi, ma non vidi nessuno. La seconda volta tornarono le stesse persone, ma accompagnate dal presidente Massimo Cellino. Io non conoscevo niente e nessuno del calcio italiano, al di fuori dei nomi delle squadre più blasonate di cui si parlava in Belgio: Inter, Juve, Milan.

Cellino disse che voleva parlare col presidente dell’Anderlecht, e fu ricevuto nello stadio della società belga, che è un gioiellino: assomiglia a un cinema, pieno di vetrate che si affacciano sul campo e di ristoranti dove si può mangiare e, contemporaneamente, guardare la partita.

Alla fine fu trovato l’accordo - ricordo che partecipò alla trattativa anche Carmine Longo - e mi fu detto che da Bruxelles mi sarei trasferito a Cagliari. La prima cosa che domandai io fu: ‘E dov’è Cagliari?’. Mi risposero: ‘In Sardegna’. E io ancora: ‘E dov’è la Sardegna?’. ‘È in Italia, è un’isola’. Già il fatto che fosse un’isola mi rassicurò.

Quando venni a firmare il contratto mi portarono in un ristorante che frequentavano abitualmente i dirigenti, vicino al porto. Mangiammo, parlammo e alla fine firmammo questo benedetto contratto.

Il giorno dopo mi fecero fare un giro al Poetto. Quando vidi quella spiaggia magnifica e immensa e quel mare cristallino sgranai gli occhi e pensai che dal Brasile ero arrivato… al Brasile. Quello scenario da favola mi ricordava tanto la mia terra d’origine. Fu a quel punto che dentro di me mi dissi che avrei dovuto fare qualcosa di importante per conquistare l’affetto di quella gente.

Diciamo che i primi passi non furono facili: non parlavo l’italiano, ma per fortuna in squadra c’era Francescoli che parlava il francese e mi faceva da interprete coi compagni e col mister. In più partivo indietro nelle gerarchie tecniche: davanti a me c’era Giorgio Bresciani, attaccante italiano di spessore che era stato preso per fare il titolare. Ma a un certo punto, dopo tante panchine, l’allenatore mi diede fiducia. Lo ripagai con alcuni gol importanti, come quello che segnai in mezza rovesciata in pieno recupero contro la Fiorentina al Sant’Elia, e non uscii più dalla formazione titolare.”

La sua annata più bella in Sardegna è stata forse quella dell’inebriante campagna europea, condotta al fianco di Dely Valdes fino a sfiorare la conquista della finale. Come fu vivere quel sogno e, soprattutto, secondo lei cosa vi mancò nella semifinale di San Siro con l’Inter, ancora oggi il più grande rimpianto di tutti i tifosi sardi?

“Fu fantastico sognare a occhi aperti. Per noi, che non immaginavamo certo di poter arrivare così lontano, e per tutto il popolo sardo, che ci sosteneva con ineguagliabile affetto e partecipazione.

Quella squadra era capitanata da un grande Gianfranco Matteoli, che era il metronomo in campo e il punto di riferimento per tutti fuori dal campo. Non ricordo che ci fossero mai stati particolari problemi tra qualcuno di noi all’interno del gruppo, ma non appena nello spogliatoio succedeva qualcosa che non andava bene Gianfranco interveniva subito e riportava la calma e l’armonia. Il gruppo, appunto: quella era la nostra grande forza, l’arma segreta del Cagliari.  

E poi il pubblico. Custodisco nel cuore dei ricordi che, a rispolverarli, mi fanno ancora venire la pelle d’oca. Impossibile dimenticare l’atmosfera di Malines. Tutti i sardi che vivevano in Belgio, Francia, Olanda e Germania erano venuti a trascinarci contro una squadra che tra i pali schierava Michel Preud’Homme, la mia autentica bestia nera: prima di allora non ero mai riuscito a segnargli, era un gatto, sembrava imbattibile.

Ci sentimmo come a casa in una trasferta insidiosissima. Sfoderammo una grande prestazione e la dedicammo a quel muro di gente impazzita che ci aveva trasmesso, col suo entusiasmo, una forza e un’energia incredibili.

Quanto alla semifinale con l’Inter, all’andata disputammo una bellissima partita, che riuscimmo a vincere nonostante tutte le difficoltà. Invece riguardo il ritorno al Meazza… noi giocatori ci chiediamo tuttora esattamente quello che si chiedono i tifosi: cosa è successo? Impossibile dirlo. Al netto dei torti arbitrali - perché il rigore assegnato all’Inter era dubbio, ma i due negati a noi su Firicano e su Dely Valdes erano evidenti - noi quella sera non eravamo la stessa squadra che eravamo stati nel resto della competizione. Si scrisse e si disse di tutto, si fecero illazioni assurde sul nostro comportamento: tenevamo più di ogni altra cosa ad andare in finale per dare una gioia alla nostra gente e per mantenere vivo il grande sogno. Non sappiamo esattamente cosa non funzionò. Quello che posso dire è che l’Inter era molto più aggressiva di noi, raddoppiava su tutti i palloni: i nerazzurri sembravano indemoniati. Ma il Cagliari, duole dirlo, a San Siro non è esistito.”

Lei segue ancora i rossoblù. Cosa ne pensa della squadra attuale? La rivedremo l’anno prossimo in serie A?

“Ranieri ha dato al gruppo quel qualcosa in più che Liverani non poteva dare. La mano del mister si vede tantissimo. Ora la squadra è come rinata: io penso che possa arrivare perlomeno alla finale dei playoff. Non so dire se la vincerà, ma la finale è un traguardo raggiungibile”.