Di Francesco: “Non accetto ciò che sta succedendo ai bambini di Gaza”

Di Francesco: “Non accetto ciò che sta succedendo ai bambini di Gaza” TUTTOmercatoWEB.com
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Oggi alle 16:15Ex rossoblù
di Martina Musu

Direttamente dal ritiro estivo di Bressanone, dove il Lecce sta preparando la nuova stagione, Eusebio Di Francesco è tornato a parlare. Dopo la recente intervista concessa a TeleRama, è stato il quotidiano La Repubblica a raccogliere le nuove dichiarazioni dell’allenatore giallorosso, che non si è limitato ad analizzare l’aspetto tecnico della squadra, ma ha toccato anche temi di attualità e riflessione sociale, tra cui il conflitto in Palestina e, in particolare, la drammatica situazione a Gaza.

Tornando sulla sua nuova avventura in Salento, Di Francesco ha ricordato la sua prima esperienza sulla panchina leccese nel 2011:
“Quando arrivai allora il club era in autogestione, oggi invece è solido e strutturato. Io stesso ero alla mia prima in Serie A: sono cambiato, sto ancora crescendo. Resto curioso, cerco di ampliare le mie vedute. Mi definivano un integralista, ma non mi sono mai sentito tale. Parlavo di gioco e costruzione come fanno oggi i giovani allenatori, ma per me l’obiettivo è sempre stato il risultato, non l’estetica. Oggi metto i calciatori al centro, i moduli sono secondari, ciò che conta è l’intensità. Non esistono più calciatori che passeggiano in campo. Il modello? Il PSG: corrono tutti, nessuna primadonna. Camarda? Ha una grande fame, forse anche troppa. Si dispera per ogni errore, ma sbagliare fa parte del processo di crescita. Con Corvino, prima di parlare di calcio, discutiamo mezz’ora dei suoi interessi: quadri, piante, soprattutto ulivi”.

Ma è quando si parla di vita e di società che Di Francesco mostra il lato più profondo della sua personalità. Sull’attualità ha espresso grande preoccupazione:
“Uno dei miei timori più grandi è la cattiveria, ce n’è troppa in giro. I ragazzi si accoltellano mentre la gente filma. Ho visitato il Kosovo con Tommasi dopo il conflitto, e oggi, da padre e da nonno, non riesco ad accettare quello che sta succedendo ai bambini di Gaza. Mi tocca profondamente. Il mio idolo è sempre stato Nelson Mandela, ma crescendo ho capito che i veri valori me li hanno trasmessi i miei genitori: il rispetto per gli altri”.

Ripercorrendo momenti della propria infanzia, l’allenatore abruzzese ha raccontato:
“Avevamo un hotel di famiglia, che ora abbiamo venduto perché i miei sono anziani. Una mano me l’hanno data, ma ai ragazzi di oggi bisogna chiedere perfino di togliersi il piatto da tavola. Io invece ero un ottimo sparecchiatore: a ogni brutto voto, mio padre mi faceva trovare pronta la divisa da cameriere. Quando iniziai a giocare, mi disse: ‘Se vuoi fare il calciatore, vai via da Pescara. Se resti qui, lavori con noi’”.

In squadra, Di Francesco pretende regole chiare: niente telefoni a tavola, spazio al dialogo e alla condivisione. Un'impostazione che riflette anche il percorso personale fatto negli ultimi anni:
“Ho lavorato con uno psicologo per superare le due retrocessioni consecutive, all’ultima giornata, con Frosinone e Venezia. Sono state vere batoste. Ho intrapreso un percorso con una società di comunicazione per imparare a gestire le sconfitte e trasmettere messaggi giusti ai miei giocatori”.

Nonostante gli interessi per le lingue e le serie tv in lingua inglese, Di Francesco non pensa per ora a un’esperienza all’estero: “Ho quattro nipoti in Italia, non è il momento di andare. Tifo Roma? Sono legato ai tifosi e agli amici di allora, come Montella. Ma il cuore resta a Pescara. Per mio figlio Federico è diverso: Totti lo faceva sedere sugli armadietti”.

Chiude con qualche aneddoto che ne riflette il carattere schietto e diretto:
“Una volta tolsi Acerbi dal campo al 13’ del primo tempo in un’amichevole. Me lo ringrazia ancora. Berardi, a ogni gol, mi dice ‘me l’hai insegnato tu’. Un’altra volta, con Mangone sulla sua Porsche, sfondammo la sbarra del casello: aveva dimenticato il Telepass. Da allora rallento un chilometro prima. C’è scritto 30? Io vado a 25. E le foto? Dopo aver perso quella con Eusebio (il vero Eusebio, a Valencia), ora le faccio stampare. Mi fido poco della tecnologia”.