IL CAGLIARI SIAMO NOI, MA IN CAMPO...

IL CAGLIARI SIAMO NOI, MA IN CAMPO...
Oggi alle 00:40Il punto
di Vittorio Sanna
Vittorio Sanna, giornalista e scrittore, per i tifosi rossoblù "la voce del Cagliari". Nella sua trentennale carriera ha raccontato in radiocronaca oltre 700 partite, quasi 600 in serie A. Uno dei più accreditati storici del Cagliari

di Vittorio Sanna

Gioire per un rigore dubbio trasformato da Vlasic, o un gol lampo di Dia, o ancora per una zampata di Raspadori. Questo non è Cagliari, non è ciò che un tifoso rossoblu vero si aspetta. Dopo la vittoria di Verona, dove un vecchietto ha dato l’esempio giocandosi anche le stampelle, pur di portare a casa un successo, ci si aspettava la consacrazione di una identità capace di soffrire per la propria libertà.

Libertà nel calcio vuol dire fare 40 punti aldilà di quanto ne fanno gli altri. Significa essere artefice del proprio destino. Vuol dire non dover aspettare i risultati dagli altri campi per poter andare a dormire sonni tranquilli. Invece si rimane in A2, in quella coda di campionato in cui sette squadre giocano per evitare gli ultimi tre posti. Abbiamo perso male con l’Udinese. Male per lo strapotere fisico e atletico che abbiamo subito, per il timore di troppi  protagonisti, per le differenze di atteggiamento che poi è emerso, forse conseguenza del già definito strapotere, ma comunque evidente, troppo evidente, per essere spedito come polvere sotto il tappeto. Non possiamo nasconderlo.

In effetti guardi la classifica e ti rendi conto che stai giocando un play out di 38 gare. Il metro lo fornisce proprio l’Udinese , un punto nelle precedenti sei gare eppure già salva con quattro turni di anticipo. Senza essere doma, senza mostrare inappetenza, con la voglia di gestire la propria immagine, con il desiderio di conquistarsi rispetto.

Il Cagliari siamo noi, si recita in curva. Vero, ma il nodo è che in campo l’immagine non è la nostra. Non è quella di chi fa mille sacrifici, che è presente dappertutto, che sa perdere gridando il nome della propria città, a testa alta, con grande forza identitaria. Il Cagliari non sempre siamo noi, quando siamo coloro che vanno in campo diversamente dal vecchietto di Verona. E non si tratta di fisico, di prestanza atletica, perché lo sanno anche nell’altopiano di Asiago del valore di quegli uomini che fumavano con il fuoco dentro e cercavano il corpo a corpo per vincere il confronto anche ìmpari con il nemico, con destrezza, coraggio e astuzia. Si chiede di essere Cagliari, anche quando si perde, senza smarrire la riconosciuta cocciutaggine, la barrosia, il guardare negli occhi anche dal basso verso l’alto. Perdere sì, ma con orgoglio, come i vecchi pugili (O lo dormo o mi dorme).  Non affidarsi alle ninne nanne degli altri campi, alle miserie altrui. Poveri ma con dignità, senza fare gli accattoni. A Como, andiamo a lavorare per portare a casa il tozzo di pane che ci serve ancora. Prendiamolo noi, non facciamolo cadere dai cestini degli altri.