ESCLUSIVA TC - Davide Di Gennaro: "Cagliari tappa fondamentale della mia carriera. Ci rimasi male per il mancato rinnovo"

ESCLUSIVA TC - Davide Di Gennaro: "Cagliari tappa fondamentale della mia carriera. Ci rimasi male per il mancato rinnovo"TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews
domenica 28 maggio 2023, 13:30Primo piano
di Matteo Bordiga

Due sole stagioni al Cagliari, ma intense. E ricche di soddisfazioni.

È nato trequartista, ma poi è stato reinventato regista con risultati più che lusinghieri. Tanto da diventare il faro e il metronomo della squadra che, nella stagione 2015-2016, ha cancellato con un colpo di spugna la scioccante retrocessione maturata al termine dell’annata d’esordio dell’era Giulini e ha trionfato – per la prima volta nella storia rossoblù – in serie B.

L’anno successivo si è ripetuto in serie A, guidando sapientemente il centrocampo con le sue geometrie e rivelandosi illuminante anche dalla trequarti in avanti: gli assist chirurgici per le punte e la consolidata pericolosità sotto porta gli hanno consentito di distinguersi come uno degli uomini-chiave della banda sbarazzina e scanzonata di Massimo Rastelli, capace di chiudere a metà classifica un campionato vissuto sulle montagne russe ma non privo di exploit e di momenti esaltanti.

Davide Di Gennaro ricorda volentieri i suoi trascorsi in Sardegna, che hanno segnato “uno dei periodi più felici della mia carriera”.

Davide, partiamo dal suo arrivo a Cagliari. Come si svolse la trattativa che, dopo una bruciante retrocessione e l’addio al calcio di Daniele Conti, la fece sbarcare nell’Isola?

“Premetto che per me Cagliari è stata una tappa importantissima, che porto ancora nel cuore. Ho infatti lasciato molti amici in Sardegna.

Venivo da un’annata particolarmente positiva a Vicenza, conclusa col terzo posto: la mia prima stagione vissuta da regista davanti alla difesa, dopo tanti anni in cui mi ero disimpegnato come trequartista suggeritore per le punte. Mi chiamò il direttore Capozucca, dicendo che voleva affidarmi le chiavi del centrocampo del Cagliari con l’obiettivo di puntare a un’immediata risalita in serie A. Io accettai subito, nonostante avessi parecchie offerte da club di serie A, per via del legame che avevo con Capozucca – ai miei occhi una garanzia di serietà e di competenza, unita all’ambizione di costruire una squadra importante – ma anche perché mi intrigava molto la sfida di riportare in serie A una piazza come Cagliari, affascinante e stimolante.”

Che squadra trovò al suo arrivo? Quali aspettative si erano create attorno a voi?

“Diciamo innanzitutto che mi apprestavo a raccogliere un’eredità molto pesante, ovvero quella di Daniele Conti: un’autentica leggenda della storia recente rossoblù. Ma era una scommessa che mi solleticava: nella mia vita sono sempre stato molto ambizioso, quindi quella sfida era pane per i miei denti.

Mi sono dovuto calare in una realtà che proveniva da una retrocessione dolorosissima, e reduce dall’addio di alcuni senatori che avevano lasciato un segno indelebile in terra sarda. Ma per fortuna la squadra era stata costruita benissimo, tanto che poi vincemmo il campionato partendo subito forte e facendo capire immediatamente a tutti di che pasta eravamo fatti. Non è mai facile vincere in serie B: per farlo non bastano i nomi blasonati, ma occorrono una gestione oculata e tante altre componenti.”

Una considerazione tecnica: all’epoca la squadra di Rastelli venne criticata da alcuni media, nonostante i risultati positivi, per il fatto di praticare un calcio un po’ troppo sparagnino e utilitaristico, affidandosi soprattutto alle prodezze dei singoli – che erano tanti in quell’organico – a discapito del gioco corale. Lei condivide queste critiche o ritiene che invece il Cagliari 2015-‘16 giocasse un calcio piacevole e organizzato?

“Beh, io credo che ai tifosi e a chi aveva a cuore le sorti del Cagliari importasse prima di tutto vincere il campionato. Quella era la priorità assoluta. Poi direi che abbiamo offerto anche delle prestazioni di grande qualità: in fase offensiva disponevamo di giocatori importanti. Penso che la piazza quell’anno, tutto sommato, si sia divertita. Avevamo dei singoli molto forti, e mister Rastelli è stato bravo a compattare e a tenere unito un gruppo che, per la categoria, era pieno di nomi altisonanti.”

La sua convivenza con Marco Fossati: in alcune partite il mister optò per il doppio regista, impiegando lei e il brianzolo. Cosa vi accomunava e cosa invece vi distingueva, rendendovi compatibili in campo?

“Il fatto di schierare due registi era finalizzato a dare meno punti di riferimento agli avversari, che spesso mi marcavano a uomo e con Marco in campo avrebbero avuto due giocatori dal ruolo analogo da guardare a vista. Marco veniva a prendere palla al posto mio e questo consentiva di fare delle rotazioni in campo, che ci rendevano più versatili e meno prevedibili.

Fossati era un ottimo giocatore, che veniva da annate positive a Bari e a Perugia, molto affidabile per la categoria. Assieme a lui Gianni Munari, Daniele Dessena, un giovanissimo Niccolò Barella e altri bravi calciatori componevano un centrocampo di grande talento e solidità.”

Veniamo all’anno successivo in serie A: stagione nel complesso positiva, culminata in un lusinghiero undicesimo posto finale, contraddistinta da una curiosa altalena di risultati. A grandi vittorie e a partite entusiasmanti si sono alternate delusioni cocenti e sconfitte rovinose. Come spiega questa discontinuità di rendimento, soprattutto tra le gare casalinghe e quelle disputate in trasferta?

“Dobbiamo premettere che la serie A è un campionato molto diverso dalla cadetteria. Noi venivamo da un torneo nel quale eravamo abituati a essere i protagonisti e ci siamo dovuti calare, in massima divisione, nella realtà di una neopromossa. Il direttore anche in quel caso allestì una formazione competitiva con parecchi elementi di qualità che rappresentavano un valore aggiunto: Isla, Borriello, Padoin, Bruno Alves. Questi giocatori furono inseriti in un contesto di squadra che già funzionava, avendo ottenuto grandi risultati l’anno prima.

Il piazzamento finale, ricordiamolo, è rimasto il migliore in A nella storia recente del Cagliari dopo la risalita dalla serie B, nonostante il presidente soprattutto negli ultimi anni abbia cercato di alzare ulteriormente l’asticella e di puntare a posizioni di classifica più nobili. Il nostro undicesimo posto resta un traguardo di tutto rispetto.

L’unico mio rammarico è legato al fatto di non avere trovato poi un accordo per proseguire la mia avventura in Sardegna. Dopo la promozione in serie A la società mi aveva voluto mettere alla prova, senza accordarmi quella fiducia che forse io mi sarei aspettato. Non la presi benissimo, e siccome parecchie squadre mi stavano monitorando alla fine me ne andai alla Lazio, che era comunque una formazione prestigiosa, in linea con la mia natura di persona intraprendente e ambiziosa.

Col senno di poi devo dire che, sebbene sarebbe folle rinnegare la scelta di andare a giocare in un club come la Lazio, se avessimo trovato col Cagliari - per tempo - un accordo che soddisfacesse entrambe le parti sarei rimasto volentieri nell’Isola, dove probabilmente ho vissuto gli anni più felici della mia carriera.

Il popolo sardo è difficile da conquistare, ma una volta che entri nei cuori dei cagliaritani ricevi in cambio un affetto smisurato e un’amicizia che dura per la vita. Ne è testimonianza il fatto che, ancora oggi, io coltivi dei rapporti profondi e intensi con delle persone che vivono in Sardegna. Io e la mia famiglia, in quei due anni, ci siamo trovati davvero bene in una terra che, piano piano, ti accoglie e ti adotta.”