ESCLUSIVA TC - Gianfranco Matteoli: "Con Ranieri partimmo così così per via dei carichi della preparazione, ma poi volammo. Nel '94 fu gestita male l'organizzazione del prepartita con l'Inter in Coppa Uefa"

ESCLUSIVA TC - Gianfranco Matteoli: "Con Ranieri partimmo così così per via dei carichi della preparazione, ma poi volammo. Nel '94 fu gestita male l'organizzazione del prepartita con l'Inter in Coppa Uefa"TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico De Luca
domenica 4 giugno 2023, 13:30Primo piano
di Matteo Bordiga

Il Capitano per antonomasia. Il figliol prodigo tornato a trent’anni in Sardegna, dopo una carriera ricca di successi e di soddisfazioni, per riportare in alto la squadra della sua terra.

In campo era un metronomo, cuore pulsante del centrocampo e ago della bilancia di tutto il collettivo. Consegnargli la palla significava metterla in banca, e affidarsi alla sua impostazione illuminata che spesso sfociava anche in assist preziosi per gli attaccanti.

Da sempre esempio di dedizione alla causa, affidabilità e correttezza, Gianfranco Matteoli è stato la colonna portante del Cagliari risorto dalle proprie ceneri e tornato ad affacciarsi nel calcio che conta. Un crescendo rossiniano ha segnato i suoi quattro anni in rossoblù, iniziati con una salvezza miracolosa nell’ultima stagione di Claudio Ranieri e culminati nella cavalcata europea del 1994, alla quale è mancato giusto l’ultimo passo per scrivere una pagina epica di storia del calcio isolano ed emulare i Giganti del 1970.

Gianfranco, nell’estate delle Notti Magiche lei fece ritorno in Sardegna dopo anni vissuti da protagonista all’Inter. Cosa la convinse a fare quella scelta?

“Per la verità è stata una cosa piuttosto inaspettata. Avevo messo in conto di rimanere all’Inter, anche perché avevo già sottoscritto il rinnovo del contratto. Poi però si sono verificate delle situazioni particolari che mi hanno spinto a lasciare i nerazzurri. Per la verità c’erano diverse squadre interessate a me, ma l’anno prima io avevo parlato sia col presidente Orrù che con Claudio Ranieri: avevamo fatto una chiacchierata informale nella quale avevo detto a entrambi che se fossi andato via dall’Inter sarei venuto a giocare a Cagliari, per chiudere la carriera nella mia terra.”

Lucio Bernardini, il faro del centrocampo del Cagliari prima del suo arrivo, ha detto che, benché foste due registi, dal punto di vista tecnico e tattico avreste potuto benissimo coesistere.

“Probabilmente sì, ma in quel periodo quando in rosa c’erano due giocatori che si assomigliavano davano sempre vita a un dualismo: veniva schierato o l’uno o l’altro. Oggi non è più così: oggi calciatori dalle caratteristiche simili giocano tranquillamente insieme. Il calcio è cambiato tantissimo da allora. Del resto, quando due giocatori hanno dei valori tecnici importanti e sanno giocare a pallone possono senz’altro coesistere.”

Nel suo primo campionato in maglia rossoblù realizzaste un mezzo miracolo, salvandovi grazie a un girone di ritorno strepitoso dopo un impatto iniziale piuttosto traumatico con la serie A. Forse la squadra aveva bisogno di un periodo di adattamento ai ritmi e alle dinamiche di un torneo così competitivo?

“Io più che altro ricordo che con Trapattoni, all’Inter, a livello di preparazione atletica non si lavorava così tanto, perché giocavamo ogni tre giorni. Poi c’era pure chi andava in Nazionale. Insomma, le partite erano tante e gli allenamenti non erano poi così intensi. Al Cagliari invece era cambiato tutto: con Ranieri la preparazione era stata un massacro, per cui avevamo fatto fatica a entrare in condizione. Soprattutto nel girone d’andata le gambe erano un po’ legnose, e stentavamo a carburare. Non giocavamo neanche male, ma eravamo poco brillanti.

Una volta entrati in forma, abbiamo cominciato a volare. E, tra virgolette, non ce n’è più stato per nessuno. Eravamo più sciolti, più consapevoli. E abbiamo centrato una grande rimonta.”

Ranieri all’epoca ricorreva spesso alla classica difesa a tre col libero, ma poi in alcune circostanze ha sdoganato una più moderna difesa a quattro, che successivamente sarebbe stata il punto di riferimento di quasi tutti gli allenatori. Era dunque anche un innovatore, capace di adattare i moduli alle esigenze e alle caratteristiche dei calciatori?

“In effetti è così. La svolta, in questo senso, è coincisa con la partita al Delle Alpi contro la Juventus. Quando eravamo in svantaggio il mister, tra primo e secondo tempo, è passato alla difesa a quattro, alzando il baricentro della squadra e favorendo così la nostra rimonta. Finì 2-2. Per questo possiamo dire che Ranieri, nel 1990, era già all’avanguardia.”

Che ricordo ha invece di Mazzone? E della squadra scintillante che, contro tutti i pronostici, si piazzò sesta e conquistò l’Europa?

“La squadra era stata costruita nel tempo. Quell’anno erano stati aggiunti alcuni tasselli per perfezionarla. Esprimevamo un calcio spettacolare e frizzante, di altissimo livello. A quel tempo, con gli squadroni che popolavano la serie A, non era facile classificarsi al sesto posto: dovevi avere dei valori davvero importanti. Credo sia stata la stagione, tra quelle che ho disputato in maglia rossoblù, nella quale abbiamo messo in mostra il gioco migliore e più brillante.

Mazzone, dal punto di vista tattico, non cambiò molto rispetto a Ranieri. Del resto in quegli anni si giocava più o meno tutti alla stessa maniera. L’unica cosa che cambiava potevano essere le intuizioni di un allenatore durante la partita, che gli consentivano di aggiustare alcune cose in corso d’opera o di fare determinate sostituzioni. Ma l’approccio tattico era sempre quello. Certo, all’estero giocavano già in maniera differente: il 4-4-2 lo praticavano da tempo. Ma la verità è che il calcio non lo fanno i numeri, lo fanno i giocatori che scendono in campo e che si devono sapere adattare a qualsiasi esigenza.”

Anche a lei, come a tanti suoi ex compagni, chiedo che cosa è successo quella maledetta notte di aprile a San Siro contro l’Inter, nel ritorno della semifinale Uefa. Il Cagliari sembrava davvero sul punto di coronare un sogno impossibile.  

“Io credo che siamo arrivati a quell’appuntamento un po’ cotti. La rosa era abbastanza corta, e in più pochi giorni prima avevamo giocato una partita importantissima in campionato contro la Reggiana, che ci aveva portato via tante energie. Inoltre, devo dire che dal mio punto di vista è stato gestito molto male il prepartita. Siamo partiti subito da Cagliari per Milano e abbiamo fatto ben quattro giorni di ritiro in un hotel del centro. Noi eravamo abituati a partire, giocare subito e ripartire, in spensieratezza. Quell’attesa così snervante, quel ritiro così lungo ci ha caricati di un peso eccessivo, e ha contribuito a farci accumulare tensione. Poi in campo, infatti, non siamo assolutamente riusciti ad esprimere il nostro potenziale.

Organizzativamente quella gara cruciale avrebbe potuto essere gestita molto meglio.”

Veniamo ai giorni nostri: che analogie vede tra il “vostro” Claudio Ranieri del campionato 1990-’91 e il Ranieri attuale, che ha rimesso in carreggiata il Cagliari demoralizzato e spento ereditato da Liverani?

“Credo che alla fine si rimanga sempre sé stessi. Quello che Claudio era tanti anni fa lo è anche oggi. Certo, nel frattempo ha fatto tantissime esperienze in giro per il mondo, che hanno contribuito ad arricchirlo. Ma il suo modo di vedere il calcio non è cambiato. Ha davvero risollevato il Cagliari, che a mio avviso per la serie B è una buona squadra, trovando l’assetto e gli equilibri giusti. Dico che se fosse tornato anche solo un mese prima probabilmente sarebbe riuscito a evitare i playoff e a riportare i rossoblù direttamente in serie A.”