Vinciguerra a Radiolina: "L'esordio un'emozione inspiegabile. Spero di mettere in mostra i miei valori per poi tornare a Cagliari e dare il mio contributo al Cagliari"

Vinciguerra a Radiolina: "L'esordio un'emozione inspiegabile. Spero di mettere in mostra i miei valori per poi tornare a Cagliari e dare il mio contributo al Cagliari"TUTTOmercatoWEB.com
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di Maria Laura Scifo

E' Alessandro Vinciguerra l'ospite odierno della trasmissione di Radiolina "Il Cagliari in diretta". L'attaccante rossoblù parla del suo percorso, ma soprattutto del suo presente e dell'avventura che sta vivendo a Pescara. Queste le sue dichiarazioni: 

L'esordio in Serie B? E' stata un'emozione inspiegabile, è un sogno per cui si lavora tutta la vita per arrivare a questo obiettivo. Quando il mister mi ha chiamato per entrare, il mio cuore ha cominciato a battere fortissimo. Quando sono entrato in campo mi sono venuti in mente tutti i sacrifici che ho fatto e volevo dimostrare il mio valore.

Come ti stai trovando? Mi sto trovando bene, la città è carina e il gruppo mi ha accolto bene. Spero di mettere in mostra i miei valori per poi tornare a Cagliari e dare il mio contributo al Cagliari.

Una dedica? Va a mio nonno, lui e mia mamma hanno fatto tanti sacrifici. Purtroppo è scomparso e lui secondo me se ci fosse stato in quella partita sarebbe stato veramente il giorno più bello della sua vita. Avrebbe meritato di stare lì quel giorno. Già all'età di 10-11 anni mi aveva detto che era fiero di me, per lui era un orgoglio.

Il passaggio tra i professionisti? Lo stavo aspettando con ansia. Alzare la Coppa Italia è stato un orgoglio, ma c'era sempre quella domanda lì, cosa avrei fatto nel calcio dei grandi. Non vedo l'ora di testare anche me stesso e le mie potenzialità per capire dove posso arrivare.

Insegnamento che ti porti dietro dal settore giovanile del Cagliari? Il Cagliari ti insegna la voglia di non mollare mai. Il Cagliari lo ha nel DNA, bisogna sputare sangue. Venendo da un club prestigioso come questo, mi porto dentro il DNA del non mollare mai. Il "mollare" non esiste.

L'importanza della Coppa e della bandiera dei quattro mori? Per me era l'ultimo anno di Primavera e quindi per me era l'anno in cui si decideva il mio futuro. Avevo nella testa l'obiettivo di lasciare un segno. A inizio anno non immaginavo di lasciare un segno del genere, ma è stato il frutto del lavoro e sofferenze che ci siamo meritati. Siamo arrivati con il cuore a conquistare quella coppa. Per noi era la vita essere in quella finale e una volta arrivati dovevamo lasciare il cuore. Quando eravamo 2-0 sopra, ho detto 'la partita inizia ora'. Anche se eravamo davanti, ho dato la scossa alla squadra. Quando si è chiusa la partita per me si è scaricata tutta la tensione. Quel fischio finale è stato il fischio finale di Alessandro Vinciguerra del settore giovanile. La bandiera sarda è stato un ringraziamento per la Sardegna che mi ha dato tanto. Alla presentazione mi è stato fatto un coro e portare avanti la bandiera dei quattro mori e citarli è un ricambiare l'affetto che mi è stato dato.

Pisacane? Mi fa davvero piacere vederlo lì. E' arrivato quando eravamo in difficoltà, ci ha dato la sua mentalità vincente. Questo posto è più che meritato e sono convinto che farà veramente bene.

Cosa ti ha detto Pisacane quando sei partito? Volevi restare a Cagliari? Con il mister dopo gli anni trascorsi in Primavera si era creato un rapporto. Mi ha detto di godermi l'esperienza tra i grandi e di dare tutto. Se riesco a far vedere il mio valore e ho la possibilità di tornare a Cagliari, per me è una gioia. Io speravo di restare, ma mi facevo delle domande: piuttosto che stare in panchina tutto l'anno, per il mio bene, era meglio andare a farmi le ossa per dare poi un contributo maggiore alla squadra.

Potevi andare al Sassuolo prima di Cagliari? Ci sono state alcune squadre in cui avevo fatto dei provini. Quando ho preso l'aereo la prima volta per arrivare a Cagliari e sono entrato ad Asseminello ho sentito una scossa. Sono stato accolto benissimo e ho detto 'Qui si sta veramente bene e si lavora veramente bene'. Ho scelto il Cagliari perché mi ha dato questa scossa rispetto ad altri luoghi. Molti ancora mi chiedono come ho fatto, se mi è mancata la famiglia e gli amici. Per fortuna a 13 anni la mia routine era: scuola, doposcuola, campo e poi tornavo a cena e mi addormentavo. Non ho sofferto per niente, per me era un obiettivo e un sogno. Essere in un convitto insieme ad altri l'avevo preso come una gita. Non avendo fratelli, per me era un'altra vita. Mi mancavano tanto i miei genitori, ma quando le cose andavano male non chiamavo mia mamma: prendevo tutto e facevo in modo che quelle cose non capitassero più. C'erano degli psicologi a capo della Foresteria, loro mi hanno aiutato molto e mi hanno visto crescere. Quei piccoli problemi che un ragazzino di 13-14 anni che un ragazzo poteva avere, mi aiutavano a superarli.

Con chi hai legato? Sento molto Pintus e Idrissi, ho legato molto con loro e ci sentiamo sempre. Ci aiutavamo dandoci dei consigli. In ritiro ci ritrovavamo in stanza, se ad uno di noi andava male un allenamento gli davamo supporto, parlavamo di tante cose. Ci tranquillizzavamo a vicenda, ci devi tenere al tuo compagno se vuoi che cresca.

Punto di riferimento tecnico-tattico? Quando andavo in prima squadra cercavo di apprendere un po' da tutti. Questo ritiro ho avuto la possibilità di parlare tanto con Pavoletti. Mi ha dato consigli su come affrontare il percorso, mi ha detto che serve sbagliare. Ieri o l'altro ieri ho sentito Pintus, era in videochiamata nello spogliatoio e ho parlato anche con Leo. A me come giocatore piaceva molto Riccardo Sottil, mi piace il suo modo di giocare. Poi anche Zito Luvumbo, anche se siamo diversi tecnicamente, il ruolo è quello e ho avuto anche modo di giocarci insieme.