ESCLUSIVA TC - LUIGI APOLLONI: "Per Riva il denaro non era la cosa più importante. Professionalmente sapeva spronarti, ma senza mai invadere il campo altrui. Era molto legato a Zola. Il Cagliari deve ritrovare i giusti equilibri psico-fisici"

Anche lui è stato “uno dei suoi ragazzi”. Uno di coloro che con lui hanno condiviso soddisfazioni, lacrime, ascese e cadute.
Luigi Apolloni, ex colonna difensiva del Parma negli anni Ottanta e Novanta, centrale completo ed elegante, non ha mai dimenticato la composta e premurosa umanità di Gigi Riva. Quel suo sorriso sobrio e sospeso tra un silenzio e una sigaretta, quella sua discreta, naturale empatia che gli consentiva di familiarizzare immediatamente con qualsiasi giocatore, in qualsiasi circostanza.
Quando nel 1994 Rombo di Tuono accompagnò la Nazionale ai Mondiali americani in qualità di capo delegazione, Apolloni sapeva che avrebbe dovuto faticare per ritagliarsi il suo spazio in azzurro, avendo davanti a sé fior di difensori da “scavalcare”. Eppure il buon Luigi arrivò a disputare due partite del girone eliminatorio e, soprattutto, gran parte della finale iridata di Pasadena contro il Brasile, in cui si disimpegnò brillantemente e riuscì, assieme ai colleghi di reparto, a mettere la museruola a mammasantissima come Romario e Bebeto.
Oggi l’ex centrale difensivo di Frascati, che nel frattempo ha avviato un’intensa attività di allenatore, ricorda la figura di Gigi Riva con trasporto e sentimento. E anche, forse, con un pizzico di nostalgia.
Luigi, ci racconti il “suo” Gigi Riva.
“La sua morte mi ha colpito profondamente. Era una persona straordinaria da tutti i punti di vista: dal lato professionale a quello umano. Aveva un incredibile senso di appartenenza: ce lo raccontava spesso, quando parlavamo con lui nel ritiro del New Jersey. Ci parlava delle pressioni di Inter e Juventus per portarlo a Milano e a Torino, da lui sempre respinte. L’aspetto economico non era per lui la cosa più importante: il legame che aveva instaurato con la città di Cagliari e, più in generale, con la Sardegna era viscerale e inattaccabile.
Professionalmente era fantastico, nel senso che sapeva spronare, consigliare e confortare i giocatori ma sempre, rigorosamente, restando al suo posto. Non invadeva mai il campo altrui. Faceva il suo lavoro di accompagnatore senza scavalcare nessuno, tanto che non lo sentivi mai fare discorsi di natura prettamente tecnica. Era particolarmente legato a Gianfranco Zola: quando Magic Box venne espulso ingiustamente contro la Nigeria lui gli fu molto vicino.
Insomma, oltre ai valori professionali trasmetteva anche un grande senso del rispetto dei ruoli. A volte si isolava, si abbandonava a lunghe camminate in solitaria. Ma quando ti parlava lo faceva con cognizione di causa, e a ragion veduta. Sempre, ripeto, nei limiti di quello che era il suo ruolo. È questa la caratteristica di Gigi che mi è rimasta impressa, e per la quale lo ricordo con grande affetto. E poi mi legano a lui anche diverse immagini e istantanee della mia infanzia: quando ero bambino gli attaccanti sulla cresta dell’onda erano Gigi Riva, Pierino Prati, Roberto Boninsegna, Josè Altafini e così via. Non vidi la finale di Messico ’70 contro il Brasile di Pelè, come il resto del Mondiale, perché all’epoca avevo appena tre anni. Ma poi, rispolverando le immagini dopo anni, mi sono emozionato, perché percepivo chiaramente quello che Riva, come tutta la squadra azzurra, riusciva a trasmettere.”
C’è un ricordo che la lega a Riva a livello personale, come calciatore o come uomo?
“Quando esordii al Mondiale contro la Norvegia, subentrando a Franco Baresi che si era fatto male, a fine partita Gigi si avvicinò a me e mi fece i complimenti per la prestazione. Mi disse anche di non demoralizzarmi se, per qualsiasi ragione, non fossi sceso in campo nelle gare successive. Poi di fatto giocai contro il Messico e nella finale col Brasile. E lui era sempre lì a spronarmi, a incoraggiarmi. A ribadirmi che mi stavo allenando bene e che avrei trovato il mio spazio.
Persone così se ne incontrano poche. Veicolava valori importanti ed era una figura di riferimento per tutti. Io, dopo tanti anni, lo porto sempre nel cuore. Lascia uno splendido ricordo di sé, ma anche un gran vuoto.”
Luigi, il grande amore calcistico di Gigi era il Cagliari, la squadra della “sua” Sardegna. Oggi i rossoblù di Ranieri navigano in cattive acque, e domani sono attesi dal difficile rendez-vous dell’Olimpico con la nuova Roma di De Rossi. Come inquadra il momento attuale della formazione isolana?
“Il Cagliari vive sicuramente un momento complicato. Ultimamente ha offerto anche delle buone prestazioni, ma non è riuscito a dare continuità ai propri risultati. Ha dalla sua parte un allenatore importante, che conosce bene il calcio. Io, anche se non ho la palla di vetro, mi auguro che si salvi, perché una regione come la Sardegna merita una squadra in serie A. Spero che i nuovi acquisti si inseriscano subito nei meccanismi di Ranieri e che possano rappresentare quel valore aggiunto per il quale sono stati ingaggiati. Senz’altro il mister romano ha tanto lavoro da fare, ma ha anche tutte le qualità per condurre la nave in porto. Oltre a essere estremamente preparato, è perfettamente integrato e a suo agio nell’ambiente. Io ho grande fiducia in lui e nella società, che è sempre stata vicina alla squadra e all’allenatore stesso.
Diciamo che la mia è una speranza ben riposta: sono fiducioso che il Cagliari alla fine possa centrare il suo obiettivo. C’è bisogno che i nuovi acquisti diano una scossa generale e rivitalizzino anche i loro compagni di squadra, magari un po’ giù di morale dopo le ultime sconfitte. Jerry Mina e Gaetano sono giocatori in grado di offrire un contributo importante. La squadra deve ritrovare quegli equilibri psico-fisici che sono fondamentali per dare continuità al percorso e per conciliare le prestazioni con i risultati.”