Quella volta andò così: Catania-Cagliari: 0-3, quando veleni, minacce e tribunali furono spazzati dalla classe di un campione

Quella volta andò così: Catania-Cagliari: 0-3, quando veleni, minacce e tribunali furono spazzati dalla classe di un campioneTUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico De Luca
giovedì 1 dicembre 2011, 16:38News
di Matteo Sechi

E’ il 5’ minuto della ripresa. Punizione dal limite, appena due metri dalla linea orizzontale che delimita l'area di rigore. Leggermente decentrata sulla sinistra. In quella zolla del terreno che un destro ben educato non può non amare. E’ una sfida forse: prima partita di campionato dopo sette anni passati a incantare platee d’Oltremanica e subito messo alla prova nella propria specialità, quella che l'ha reso celebre nel mondo. Dimostraci di essere ancora tu, sembra essere il messaggio. Mani sui fianchi e rincorsa breve. In molti sanno già come andrà a finire. Pensano già al dopo, proletticamente proiettati verso l’esultanza. Altri si saranno rivisti nella propria infanzia quando, ginocchia sporche e sogni intatti, minacciavano il portiere di turno con un perentorio: “Questa la tiro alla Zola”. E tutti, proprio tutti, saranno esplosi per la gioia quando il magico disegno della traiettoria si interrompeva accarezzando delicatamente la rete alle spalle di Concetti. Il Massimino che si lascia andare in un sentito applauso verso il campione sardo, nonostante il tracollo casalingo del Catania sia dipeso esclusivamente dalle giocate di Zola, protagonista sia nel vantaggio di Loria, bravo ad anticipare la difesa su calcio d’angolo, sia nel raddoppio di Esposito e sia, infine, nelll’espulsione di Zeoli causata da una galoppata di Suazo (refrain di un’intera stagione), magistralmente imbeccato proprio da Gianfranco. Il suo capolavoro balistico, il suggello di una partita perfetta. 

Le magie di Zola in campo fecero dimenticare per 90 minuti l’inferno che avevano scatenato, chi a torto chi a ragione, i presidenti delle squadre del campionato cadetto contro la Lega (leggasi Galliani), tra TAR, scioperi e dichiarazioni a mezzo stampa. Un’estate segnata dall’incredibile vicenda legata al Catania (che in tribunale vinse la propria battaglia e ottenne una salvezza non guadagnata sul campo) era degenerata in una serie di decisioni che portarono la Federazione a riammettere tutte le società invischiate nel polverone della, certa o possibile, retrocessione (Salernitana, Genoa, Venezia e Napoli) e a ripescare, per meriti sportivi, la Fiorentina che aveva, nella stagione appena conclusa, ottenuto la promozione in Serie C1 e che andava a sostituire il Cosenza, retrocesso ma fallito. Ne venne fuori un campionato monstre a 24 squadre, una stagione infinita lunga 46 turni. Esplose l’ira dei presidenti e a guidare la rivolta fu nientemeno che il presidente rossoblù Massimo Cellino, recentemente eletto numero due Lega, pronto a dichiarare guerra al collega Gaucci, maggiore azionista proprio del Catania, e alla Lega stessa. Si richiede, lo ripete fino allo sfinimento il presidente granata Romero, che le promozioni in Serie A divengano sei a fronte delle solite quattro retrocessioni in Serie B. Ma Galliani fu irremovibile e iniziò una pericolosa guerra fatta di minacce e anatemi, avvertendo che chi non si fosse presentato in campo per la prima giornata avrebbe avuto la partita persa a tavolino. La linea dei rivoltosi fu però altrettanto intransigente e la prima giornata di campionato non ebbe luogo. L’impasse sembrò non trovare sbocchi e le tensioni e le incomprensioni interne a un organo sportivo iniziarono a riversarsi sulle strade e a diventare un problema di ordine pubblico. Insulti, cariche della polizia, cortei. E ancora, pullman scortati, stadi chiusi, paura. I tifosi sono in subbuglio. Nel caos generale e in mezzo a repentini e frequenti cambi di posizione di presidenti capaci di dire tutto e il contrario di tutto nel giro di una sola mattinata, spiccò l’azione inaspettata di Massimo Cellino che, abbandonando gli atteggiamenti giacobini della prima ora e rimettendo contemporaneamente le cariche di vicepresidente di lega e di presidente del Cagliari preferì sintonizzarsi su frequenze di giolittiana ambiguità: il Cagliari giocherà il secondo turno a Catania. Il motivo? “Ho giocato per non regalare punti a Gaucci, ma ora senza accordo non giocheremo la prossima partita”, spiegherà nel post-partita. Ma le parole del numero uno alabardato, Amilcare Berti, sono velenose al punto giusto: “Non si è mai visto un comandante che abbandona la nave, ma forse Cellino aveva i diritti tv da salvare (4,5 milioni da Murdoch)”. Ci fu poi chi riportò un colloquio top secret avvenuto nelle segrete di Assemini con Gianfranco Zola, in cui Cellino spiegò al capitano rossoblù che non aveva nessuna intenzione di bruciare l’opportunità di risalire in Serie A dopo aver costruito una rosa all'altezza dell'obbiettivo (all’arrivo di Zola si aggiunsero infatti i ritorni di Festa, Macellari, O’Neill e gli ingaggi di Albino e Del Nevo) , che d’ora in poi si sarebbe dovuto tenere un “profilo basso” con la stampa e durante il quale rimarcò quanto fosse stato lesto e furbo nel defilarsi prima della scontro finale con Galliani, accusando infine i propri colleghi, Preziosi su tutti, di pensare sempre e solo ai guadagni. Lo smarcamento di Cellino, certamente discutibile, servì in parte da apripista alla soluzione dei problemi (si arriverà a concordare 5 promozioni dirette e uno spareggio tra le sesta della Serie B e la quartultima della Serie A) che permise di porre fine a tutte le polemiche. 

Ad ogni modo, il perentorio 0-3 di Catania fu il primo importante mattone posato dal Cagliari nella spettacolare e indimenticabile impresa che compì nella stagione 2003/04 (che conobbe tuttavia anche momenti poco sereni in un periodo negativo che culminò con l'esonero di Giampiero Ventura dopo la sconfitta interna con il Piacenza) e fu, come già detto, un riavvicinamento al piacere del calcio, dopo alcune settimane che avevano appesantito e reso irrespirabile l’aria intorno allo sport più bello del mondo. A un calcio italiano drogato e malato servì come la manna il ritorno di Gianfranco Zola, servivano la sua onestà e la sua integrità, prima ancora delle sue magie in campo che avrebbero in seguito deliziato qualsiasi platea. Zoleddu, applaudito ovunque avrebbe giocato, portò la pace in un campionato nato sotto la stella sbagliata, ma cresciuto e divenuto maturo con sfide eccellenti e degne di categorie superiori che ne fecero forse il più bel campionato cadetto della storia. Ma Zola servì soprattutto a un Cagliari affamato di successi e che da tre anni annaspava, incapace di spiccare il volo. E alle sue parole, quando il 3 luglio fu presentato ai tifosi (dopo un’estenuante settimana in cui il Chelsea sembrava aver convinto Magic Box a rimanere un altro anno a Londra e giocare così la Champions), “Voglio vincere, ma non posso promettere niente”, in pochi credettero. Tutta la Sardegna sapeva che l’equazione Zola-Cagliari aveva un solo risultato possibile: il ritorno in Serie A. Tutti sapevano che Zola era tornato per vincere e che lui stesso era consapevole di rappresentare il fondamentale salto di qualità per la squadra. Toccarono il cuore, inumidirono gli occhi e fecero venire i brividi, invece, quelle parole, tanto retoriche, ma mai come in quel caso sentite ed attese, che pronunciò con la più genuina spontaneità: “L' avevo promesso a me stesso. Il richiamo della mia terra era troppo forte, non l' ho fatto certo per i soldi: questa maglia è il sogno di ogni sardo”.