Cellino: "Il Sindaco ci ha cacciato. Ma con Catania e Chievo arriverà la salvezza"

Non è certo un bel momento per il Cagliari. Le sconfitte di Bologna e Parma hanno in parte compromesso un campionato che pareva tranquillo, costringendo squadra a tifosi a cinque giornate di passione per scacciare gli incubi della retrocessione. Ulteriore aggravante, l’affaire Sant’Elia, con i rossoblù che chiuderanno la stagione giocando a Trieste le residue partite casalinghe. E proprio su questione stadio e lotta salvezza si è pronunciato il presidente Massimo Cellino in un’intervista apparsa nell’edizione odierna dell’Unione Sarda e qui sotto riportata.
Presidente, a Parma la sua squadra è stata sconfitta senza attenuanti. È arrabbiato?
«Sì, con l'arbitro. Sul risultato di 0-0 c'era un rigore solare per un fallo su Ekdal. Ultimamente non siamo stati fortunati con gli arbitri, e mi riferisco anche all'espulsione di Pinilla con l'Inter».
Questa considerazione sa tanto di alibi per una sconfitta che non ammette discussioni.
«Non abbiamo giocato bene, è vero. Può capitare ma se rimarchiamo gli errori del Cagliari, va fatto anche per quelli dell'arbitro».
Sarà, ma il Cagliari ha dimostrato scarsa aggressività e anche un pizzico di sufficienza. Eppure la salvezza è ancora da conquistare, le motivazioni non dovrebbero mancare.
«Siamo in guerra, lo so, siamo circondati e vorrei che i giocatori la pensassero come me. Adesso ci attendono due battaglie, con Catania e Chievo. Mi aspetto sei punti per chiudere il discorso salvezza».
Intanto, lei ha portato via la squadra da Cagliari per le partite e, adesso, anche per gli allenamenti. L'esilio sta diventando pesante.
«Non sono io che ho portato via il Cagliari, ma è il Cagliari che è stato cacciato da casa sua. Qualcuno dimentica che da tempo siamo costretti a giocare con due settori dello stadio chiusi. E che i lavori per mettere in sicurezza i Distinti e la Curva sud, che dovevano durare pochi giorni, non sono ancora conclusi».
La Commissione di vigilanza ha stabilito che, almeno per metà, il Sant'Elia è agibile.
«Davvero? Io so che per anni il Sant'Elia è rimasto aperto perché il sindaco Floris si assumeva la responsabilità di firmare una deroga. Altrettanto ha fatto l'amministrazione Zedda per alcuni mesi. Poi non più. Mi chiedo: cosa è cambiato nel frattempo? Se fossi stato un irresponsabile avrei continuato a far giocare il Cagliari nel deserto del Sant'Elia. Se ho scelto Trieste, è per fare il bene della squadra».
A proposito, perché proprio Trieste?
«Bologna e Firenze ci hanno detto no. Livorno era disponibile ma lo stadio è peggio di quello di Cagliari. C'era la Sicilia, difficile da raggiungere, però, Napoli e Salerno. Ma potevo portare il Cagliari a Napoli»?
Torniamo al ritiro prolungato: è una punizione?
«Ma per carità. Che senso aveva rientrare a Cagliari, allenarsi un giorno e ripartire? Ho pensato che fosse il modo migliore per preparare gare importanti come quelle con il Catania e il Chievo. I giocatori pensino a lavorare, allenarsi e prepararsi per vincere. Tutte le altre sono chiacchiere».
Conta solo la salvezza.
«E i giocatori hanno la responsabilità di difendere la Serie A. E, sia chiaro, non accetto salvezze decise dal tribunale sportivo. Il Cagliari deve salvarsi sul campo».
Lei è piuttosto severo con i suoi giocatori. Possibile che l'allenatore non abbia responsabilità?
«Quando si perde, si perde tutti, anche se in aeroporto, al mio rientro a Cagliari, mi sono sentito dire che avevo perso. Mentre quando le cose vanno bene, mi dicono: «Presidente, abbiamo vinto». Stabilito questo, Ficcadenti è un uomo eccezionale e un ottimo allenatore».
Allora perché a novembre lo ha esonerato?
«Perché credevo che fosse un egoista che non rispettava l'identità tecnico-tattica ormai consolidata del Cagliari. Invece, ho capito che Ficcadenti ha in mente solo il bene della squadra».
Quindi, ha ancora fiducia nel suo allenatore?
«Ho fiducia assoluta. Lui e io stiamo pensando alla salvezza e, a fine stagione, ci metteremo intorno a un tavolo per programmare il futuro. Prima, però, portiamo la nave in porto».
Il mare è molto mosso, ha qualche timore di non arrivare?
«Guardi, io non temo la retrocessione perché ho la coscienza a posto. È chi non fa il proprio dovere a dover avere paura. La retrocessione è una morte sportiva ma io la guardo in faccia perché sono pulito».
Ormai è deciso, a Trieste anche con la Juventus.
«Stiamo facendo uno sforzo organizzativo enorme, sono mobilitati dirigenti, steward, addetti alla biglietteria e tutti si stanno prodigando. Mi aspetto che i giocatori facciano altrettanto».