ESCLUSIVA TC - Fabrizio Provitali: "Il mio Cagliari giovane e sbarazzino che stupì l'Italia. Forse se fossi rimasto avrei fatto un'altra carriera"

ESCLUSIVA TC - Fabrizio Provitali: "Il mio Cagliari giovane e sbarazzino che stupì l'Italia. Forse se fossi rimasto avrei fatto un'altra carriera"
lunedì 5 giugno 2023, 14:54Primo piano
di Matteo Bordiga

In Sardegna è fiorito solo per due anni, ma gli sono bastati per entrare nel cuore dei tifosi cagliaritani. Cinquantanove gettoni e diciassette reti tra serie C e serie B, una presenza costante e affidabile al centro dell’attacco rossoblù come punto di riferimento offensivo della squadra, grande empatia con il pubblico e con i sardi in generale.

Fabrizio Provitali, ribattezzato affettuosamente “Bibi”, ha legato il suo nome a un periodo storico decisamente fortunato per il Cagliari. Due stagioni segnate da altrettante promozioni, oltre che dal successo nella Coppa Italia di serie C.

Non ha avuto la possibilità di affermarsi in serie A, venendo ceduto al Vicenza nel novembre del 1990, all’alba del campionato di massima divisione che sarebbe poi sfociato in una sensazionale salvezza grazie a un girone di ritorno da incorniciare.

Fabrizio, come arrivò a vestire il rossoblù nel 1988, in serie C?

“Arrivai in Sardegna con grande entusiasmo, anche perché venivo da un solo anno di professionismo, in C2, con la maglia del Perugia. Trovai una squadra giovane, come ero io, che all’apparenza non sembrava avere tante ambizioni, ma che invece in campo si dimostrò di una spanna superiore alle altre e infatti salì subito in serie B. L’anno successivo addirittura ci ripetemmo, centrando la doppia promozione consecutiva.

La mia permanenza nell’Isola andò meravigliosamente. Tra l’altro all’epoca non ero mai stato nella parte meridionale della Sardegna, ma ero andato in vacanza dalle parti di Olbia. Cagliari proprio non la conoscevo. Il primo impatto fu straordinario: la gente era socievole e ospitale, e mi fece sentire fin da subito come a casa.”

Com’era il giovane Claudio Ranieri, al tempo quasi un neofita della panchina? Cosa ricorda dell’uomo e dell’allenatore?

“Ranieri allenava appena da tre o quattro anni. In lui trovammo grande disponibilità e un dialogo sempre aperto. Ci faceva stare bene anche fuori dal campo: non vinci, e in generale non costruisci niente di importante, se non c’è il giusto mix tra l’intesa in campo e i rapporti personali da coltivare fuori dal campo.

C’è da dire che anche noi eravamo davvero un grande gruppo: una banda di semisconosciuti che trasformò tutto l’amore e la passione per i colori rossoblù nella benzina necessaria per rendere possibile quel piccolo miracolo sportivo della doppia promozione che ancora oggi, a tanti anni di distanza, fa piacere ricordare.”

Il tecnico romano, secondo alcuni, andrebbe annoverato tra quegli allenatori particolarmente attenti alla fase difensiva. Il vostro Cagliari però giocava un calcio propositivo e intraprendente, e infatti segnava parecchio e non solo con gli attaccanti.  

“Assolutamente. Noi giocavamo sempre come minimo con due attaccanti e scendevamo in campo per vincere. Del resto, la carriera di Ranieri testimonia la sua capacità di esprimere un calcio d’attacco: non trionfi certo in Premier League se giochi per non prenderle. Devi essere coraggioso e aggressivo. Non a caso, oggi Ranieri è un punto di riferimento per il calcio europeo e mondiale. E spero vivamente che possa coronare il sogno di riportare ancora una volta il Cagliari in serie A in seguito a questa finale playoff con il Bari. Sarebbe come una favola: il figliol prodigo che riconduce il popolo che ha tanto amato nel calcio che conta.”

Fabrizio, veniamo al suo addio all’Isola nel 1990, proprio all’inizio della grande avventura del nuovo Cagliari in serie A. Cosa spezzò il matrimonio che durava da due anni e che lasciava presagire un lieto fine con l’affermazione definitiva nel massimo campionato?

“Fu una scelta legata a più fattori. In parte incise l’arrivo quell’anno di grandi giocatori – penso soprattutto a Francescoli e Fonseca in attacco – e in parte ci fu qualche problemino tra me e la società. È comunque una decisione che non rinnego, anche se – ripensandoci a distanza di tanti anni – forse se fossi rimasto a Cagliari avrei fatto un altro tipo di carriera. All’epoca pensavo di fare la scelta giusta. Quello che è certo è che nell’Isola mi sono trovato benissimo e serbo ancora tantissimi ricordi meravigliosi di quel periodo.”

La finale playoff col Bari, in programma tra tre giorni. Cosa possiamo aspettarci da questa sfida tra due squadre attrezzate e in salute?

“Le finali sono sempre un terno al lotto. Basti pensare alla partita della Roma di mercoledì scorso contro il Siviglia. Difficile fare un pronostico secco. Il Cagliari senz’altro arriva all’appuntamento in ottime condizioni, e questo conta tanto. La spunterà chi sarà più bravo ma anche chi avrà più fortuna: questo aspetto, nelle finali, assume un’importanza fondamentale.”