ESCLUSIVA TC - MASSIMILIANO PANI: "I miei anni a Cagliari tra serie B e C: tempi difficili, eppure serbo ricordi bellissimi. I tecnici più all'avanguardia che ho avuto? Ulivieri e Ranieri. Erano dei precursori"

ESCLUSIVA TC - MASSIMILIANO PANI: "I miei anni a Cagliari tra serie B e C: tempi difficili, eppure serbo ricordi bellissimi. I tecnici più all'avanguardia che ho avuto? Ulivieri e Ranieri. Erano dei precursori"TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico De Luca
venerdì 21 luglio 2023, 19:31Primo piano
di Matteo Bordiga

C’è stato un tempo in giocare nel Cagliari era certamente un grande onore, soprattutto per un calciatore nato proprio in riva al Poetto. Era certamente una grande responsabilità, perché portare sul petto i quattro mori ha sempre significato rappresentare simbolicamente tutta l’Isola e la sua gente. Ma era anche, diciamolo con franchezza, una gran fatica e, per certi versi, un gran problema.

Ecco, in quel tempo Massimiliano Pani, cagliaritano doc, attaccante tecnico ed estroso, vestiva i colori rossoblù. Siamo negli anni Ottanta, quando i guai societari erano la costante invariabile di ogni stagione, quando si spendeva più di quel che si poteva spendere, quando salvaguardare l’iscrizione alla serie B prima e alla serie C poi era già un gran traguardo. Poi, nel 1988, i fratelli Orrù e l’imberbe Claudio Ranieri fecero risorgere il Cagliari dalle proprie ceneri, e appena l’anno dopo Massimiliano Pani fu costretto a cambiare aria “perché evidentemente non stavo simpatico al DS dell’epoca, Carmine Longo”. Perdendo così il treno dei miracoli che avrebbe condotto prima in serie A e poi, nel 1990-91, a un’incredibile salvezza strappata proprio sul filo di lana nel campionato di Maradona, Careca, Matthaus, Klinsmann, Vialli, Mancini, Roberto Baggio, Gullit e Van Basten.

Massimiliano, torniamo indietro nel tempo. Lei debuttò in maglia rossoblù nel 1984, in serie B, e rimase al Cagliari fino al 1989, vivendo nel frattempo una retrocessione in serie C e la risalita nella cadetteria. Cosa ricorda di quegli anni travagliati e pieni di difficoltà?

“In effetti era un periodo piuttosto duro, non bello dal punto di vista societario per via delle note vicende, anche extracalcistiche. Però io, da ragazzo che si affacciava al professionismo, cercavo di pensare a fare solo quello che mi piaceva: giocare a calcio e divertirmi. Delle vicissitudini che turbavano il Cagliari e delle difficoltà con le quali oggettivamente convivevamo ho preso coscienza solo successivamente, col passare degli anni.

Alla fine la mia fu un’esperienza agrodolce: alla gioia e alla soddisfazione di rappresentare la squadra della mia città si contrapponeva comunque un minimo di preoccupazione per le peripezie della società e per la situazione di instabilità, di precarietà nella quale vivevamo costantemente.”

Dopo l’esordio nel 1984 lei si ritagliò progressivamente sempre più spazio in squadra: nel 1986-’87 totalizzò 19 presenze e 3 reti in serie B, l’anno successivo 25 presenze e 3 gol in serie C. Com’era giocare in quel Cagliari, dal punto di vista tecnico ma anche ambientale?

“Indubbiamente i problemi societari influivano sul rendimento in campo della squadra. Poi fummo condizionati anche dai numerosi cambi di allenatore che vennero decisi dalla dirigenza in quel periodo: dal punto di vista tecnico-tattico ci destabilizzarono un po’. Anche se quella era un’epoca in cui si giocava ancora abbastanza all’antica. Io ho vissuto l’ultima fase del vecchio calcio italiano, se vogliamo chiamarlo così. Poi negli anni Novanta si sarebbe pian piano affermato il cosiddetto calcio moderno, coi suoi concetti nuovi e rivoluzionari. Racconto un aneddoto: quando andai via dal Cagliari, nel 1989, approdai al Montevarchi, e trovai un allenatore ancorato a schemi e a idee ormai anacronistiche. Lui dava la maglia numero 2 al difensore che doveva marcare l’11 avversario, la numero 3 a quello che doveva marcare il 7… e così via. Ragionava in modo molto rigido e dogmatico. Tanto che se gli avversari rimescolavano i numeri delle maglie rispetto ai ruoli dei giocatori rischiava di andare in tilt… Non tutti, in quel periodo, avevano l’elasticità mentale per accettare i cambiamenti che si stavano profilando all’orizzonte.”

Parlando di allenatori, quale dei tanti che si sono avvicendati sulla panchina rossoblù durante la sua permanenza le è rimasto maggiormente impresso e, magari, ricorda con più piacere o affetto?

“Diciamo che ricordo con piacere tutti gli allenatori che ho avuto, perché a ciascuno di loro mi sono affezionato e ognuno mi ha insegnato qualcosa. Mi ricordo bene di Tiddia, che era una persona splendida, di Giagnoni, di Robotti, dello stesso Ulivieri, che all’epoca aveva un carattere piuttosto burbero e fumantino, ma era un grande maestro di calcio. Lui e Ranieri erano i tecnici più all’avanguardia dal punto di vista tattico. Erano dei ‘ponti’ tra la vecchia visione del calcio e quella più moderna. Trasmettevano già concetti come l’interscambiabilità dei ruoli, il gioco a tutto campo, la capacità della squadra di attaccare e difendersi in maniera compatta, coinvolgendo tutti i calciatori nelle due fasi. Per gli altri allenatori ognuno doveva attenersi alle sue consegne: il difensore doveva fare solo il difensore e l’attaccante solo l’attaccante. Tutti avevano spazi predefiniti e porzioni di campo molto ristrette in cui dovevano muoversi, e pochissima libertà d’azione.”  

Massimiliano, arriviamo al suo addio al Cagliari. Nel 1989 veniste promossi in serie B sotto la guida di Ranieri, ma lei lasciò i rossoblù per accasarsi al Montevarchi. Da cosa fu dettata quella scelta?

“Non certo dalla volontà del sottoscritto. In quegli anni era il direttore sportivo Carmine Longo a decidere chi doveva restare e chi doveva partire. Faceva un po’ il bello e il cattivo tempo. Evidentemente non gli stavo troppo simpatico, e per questo motivo finii per lasciare Cagliari. Ma sarei stato felicissimo di proseguire la scalata con Ranieri anche in serie B e, chissà, magari un giorno debuttare in serie A con la maglia della squadra della mia città.”

A proposito di serie A: quest’anno Ranieri, figliol prodigo in Sardegna, ha ripetuto il miracolo. Qual è il suo auspicio per il nuovo Cagliari appena tornato nel calcio dei grandi?

“Che possa rimanere in serie A e, possibilmente, che possa far divertire il pubblico. Il primo obiettivo sarà sicuramente la salvezza, ma io mi auguro che la squadra riesca a spingersi un po’ oltre e a regalare qualche soddisfazione ai tifosi. Dipenderà dall’organico che allestiranno i dirigenti: alla fine il calcio lo fanno i calciatori. Quando hai in rosa dei giocatori di valore i risultati importanti arrivano per forza di cose. E poi c’è un tecnico esperto e validissimo come Ranieri, che anch’io ho avuto modo di conoscere. Ovunque è andato nella sua carriera ha lasciato un gran ricordo di sé: è una garanzia per questo Cagliari.”