MICHELE FINI: "Il 4-3 al Frosinone mi ricorda il nostro 2-1 al Napoli maturato in pieno recupero: fu la svolta della stagione. Mi piace Makoumbou: vuole sempre la palla tra i piedi. Sulemana paga l'avvio difficile della squadra"

Un sardo di Sorso alla conquista dell’Ecuador.
Michele Fini ha seguito Diego “El Jefe” Lopez nella sua nuova avventura in Sudamerica, diventando assistente tecnico del Barcelona Sporting Club. Un’esperienza arricchente e accattivante per l’ex mezzala rossoblù, che con la maglia del Cagliari ha disputato due stagioni memorabili – alla fine degli anni Duemila – facendo sognare i tifosi prima con un’inebriante rimonta salvezza (targata Ballardini) e poi con una cavalcata che, sotto la guida di Max Allegri, ha portato i sardi alle soglie dell’Europa League.
Nonostante la distanza geografica, Michele è sempre aggiornato sul cammino dell’undici di Ranieri. E, soprattutto, è convinto che la scintilla scattata con la vittoria per 4-3 col Frosinone sia equiparabile al “Big Bang” del gennaio 2008, quando col memorabile 2-1 al Napoli siglato da Matri e Conti in pieno recupero il suo Cagliari pose le basi per un anno e mezzo di fuochi d’artificio e calcio champagne.
Michele, da qualche tempo a questa parte il Cagliari ha cambiato modulo e assetto tattico. Ora si schiera con un trequartista dietro a due punte, abbandonando il centrocampo a cinque – prevalentemente difensivo – che pochi risultati aveva portato a inizio stagione. E stanno cominciando a fioccare i punti.
“I risultati cambiano radicalmente i giudizi e le spiegazioni del perché le cose vanno male o bene. Io sono sicuro che la svolta nello spogliatoio rossoblù è coincisa con la rimonta messa a segno contro il Frosinone: sono quelle vittorie che ti mettono le ali, che ti caricano a mille e che ribaltano completamente il morale del gruppo. Ai miei tempi anche noi vincemmo rocambolescamente al 94’ contro il Napoli al Sant’Elia: quei tre punti insperati forgiarono il nostro carattere e rappresentarono una grande iniezione di fiducia soprattutto in vista delle partite successive. La stessa cosa è successa al Cagliari di quest’anno. Non a caso dopo il 4-3 coi ciociari i rossoblù hanno sfoderato una brillante prestazione in Coppa Italia e poi sono andati a battere il Genoa in campionato.
La psicologia fa tanto. Poi ovviamente anche il cambio di modulo ha inciso: un sistema di gioco più difensivo ti fornisce delle indicazioni e delle certezze di un certo tipo, mentre un assetto più offensivo te ne fornisce delle altre.”
Ranieri, non appena ha avuto a disposizione e in buona condizione alcuni uomini chiave come Viola, Prati e Mancosu, non ha esitato a inserirli, migliorando il fraseggio e aumentando la pericolosità offensiva della squadra. Segno che se prima il Cagliari pareva troppo rinunciatario e spuntato era solo per via dell’assenza dei giocatori di maggiore qualità dalla cintola in su?
“Certamente. Ora il mister, avendo gli elementi per farlo, si può permettere di proporre un calcio più aggressivo. Alcuni sistemi di gioco li puoi adottare a seconda delle caratteristiche dei calciatori che hai a disposizione. A inizio stagione, complici i numerosi infortuni, c’erano altre esigenze e priorità. Ora, con quasi tutti gli effettivi abili e arruolati, Ranieri ha maggiore possibilità e varietà di scelta sia sotto il profilo degli uomini che dal punto di vista dell’assetto tattico.”
Parlando dei singoli, c’è nella rosa rossoblù un giocatore che l’ha particolarmente impressionata e, al contrario, uno che a suo avviso deve ancora sbloccarsi ed esprimere appieno il suo potenziale?
“Confesso che a me piace molto Makoumbou. Vuole sempre la palla tra i piedi, rischia la giocata, trasmette sicurezza e serenità. Certo, a volte oltre che tenere la palla dovrebbe anche attaccare lo spazio, ma sia l’anno scorso in B che quest’anno in A ha dimostrato di essere all’altezza.
Di sicuro la sorpresa in positivo è stata l’esplosione di Viola, che è diventato un giocatore determinante sia sotto il profilo realizzativo che per quanto riguarda lo sviluppo e la costruzione del gioco. Quando ha la palla vede subito i movimenti degli altri e detta il passaggio illuminante.
Uno che invece non sorprende più è Pavoletti: è sempre pronto a togliere le castagne dal fuoco, quando viene chiamato in causa risponde presente e, in più, è un collante importante per lo spogliatoio. Senza dimenticare che tiene tantissimo alla maglia, e questo non è un dettaglio trascurabile.
Faccio fatica, sinceramente, a individuare un elemento che stia rendendo al di sotto delle sue possibilità.”
Penso ad esempio a Sulemana, che a inizio campionato era titolare inamovibile ma che adesso, dopo alcune prestazioni negative, sembra essere uscito dalle rotazioni del tecnico romano.
“L’ho visto diverse volte in azione, e devo dire che mi è sempre piaciuto. Credo abbia pagato l’avvio di stagione deficitario della squadra più che delle particolari colpe individuali. In questo momento Ranieri gli sta preferendo altri centrocampisti, che peraltro si stanno disimpegnando egregiamente: questo per lui deve essere uno stimolo in più per pedalare durante la settimana con l’obiettivo di riconquistarsi il posto.”
Michele, qualche giorno fa abbiamo parlato col suo collega ed ex compagno Diego Lopez, che sta vivendo assieme a lei questa avventura al Barcelona Sporting Club. Personalmente come si trova in Sudamerica e che tipo di calcio state cercando di insegnare ai giocatori ecuadoriani?
“L’esperienza che sto facendo in Ecuador segue quelle che ho fatto in Cile e in Uruguay, e mi sta illuminando su un mondo completamente diverso da quello del calcio europeo. Chiaramente su diverse cose qui sono ancora indietro, ma c’è molto potenziale sul quale lavorare per consolidare e migliorare il movimento calcistico sotto tanti punti di vista: da quello organizzativo a quello gestionale, da quello tecnico a quello tattico. Ci sono calciatori dotati di enorme fisicità e anche di buone qualità tecniche, che spesso si ritrovano a giocare su campi, diciamo, improbabili… Però non mancano l’agonismo e l’atletismo. Le doti naturali di questi giovani talenti, se sviluppate in un certo modo, potranno far crescere tantissimo il football ecuadoriano e anche creare i presupposti per vedere, un giorno, i nostri ragazzi sbarcare in qualche squadra europea.
Il campionato ecuadoriano è difficile soprattutto sotto il profilo climatico e ambientale: si gioca costantemente a due-tremila metri di altitudine, dove l’ossigeno scarseggia. In Europa non siamo certo abituati a simili condizioni. Il nostro lavoro si concentra soprattutto sull’aspetto tecnico-tattico e sul perfezionamento della fase difensiva e offensiva. Per fortuna abbiamo a disposizione una squadra di ragazzi promettenti e volenterosi e, più in generale, un team di persone desiderose di migliorarsi.”