ESCLUSIVA TC - NELSON ABEIJON: "Mi sento sardo a tutti gli effetti. Il 2004 il mio anno più bello a Cagliari. Spero che ora Giulini allestisca una grande squadra per la serie A"

Sette anni di onorato servizio, senza mai risparmiare una sola stilla di sudore. Sette anni di battaglie, di pura “garra”, di abnegazione e sacrificio per difendere quei colori che si è tatuato sulla pelle e che ancora si porta addosso con fierezza sardo-uruguagia.
Un guerriero che in campo vorresti sempre avere dalla tua parte, un combattente che ha sposato la causa di una città, di una regione e di un popolo. Tanto da affermare di sentirsi ancora, a distanza di tanti anni, un “cagliaritano acquisito”.
È arrivato carneade, è ripartito gladiatore. Nelson Abeijon occupa un posto speciale nel cuore dei tifosi rossoblù, per la dedizione totale e feroce che ha sempre riservato alla squadra che più di ogni altra ha segnato la sua carriera e la sua vita, professionale e personale. Con lui il Cagliari ha attraversato mari pacifici e procellosi; ha alternato vittorie sensazionali a cadute rovinose. Ha pianto per una retrocessione drammatica, come quella del 2000, e festeggiato in grande stile il ritorno in serie A nel 2004, sotto la guida del cavaliere di Oliena Gianfranco Zola. Ma mai, in nessun momento – che fosse buio o luminoso – sono mancati l’applicazione, il coraggio, la tenacia e la strenua vis pugnandi dell’uomo di Montevideo, ennesimo diamante della colonia uruguaiana tanto florida e fortunata in terra di Sardegna.
Nelson, lei è arrivato a Cagliari nel lontano 1998 e, con in mezzo solo una piccola parentesi di sei mesi al Como nel 2003, è rimasto nell’Isola fino al 2006. Come descriverebbe la sua lunga esperienza in Sardegna e qual è l’annata che ricorda con maggiore entusiasmo?
“Con Cagliari è stato come un colpo di fulmine. Mi sono trovato benissimo a totalmente a mio agio fin da subito, non appena sono sbarcato in Sardegna. L’anno più bello che ho vissuto è stato quello della promozione al fianco di Gianfranco Zola: il 2004. Ero di ritorno dal prestito al Como e ho giocato la seconda parte del campionato col Cagliari, centrando un risultato importantissimo per tutta l’Isola con una squadra fantastica e spettacolare. C’erano, oltre a Magic Box, anche Suazo, Langella ed Esposito che facevano impazzire le difese avversarie. Giocavamo un calcio veloce e travolgente. Anche la difesa era molto forte, e il centrocampo coniugava dinamismo, quantità e qualità.
Poi buona parte di quella formazione è rimasta anche l’anno dopo in serie A con Arrigoni - altra stagione che ricordo con grande piacere - in cui abbiamo ben figurato in un torneo molto difficile e competitivo.”
Qual è stato invece il momento più critico e più difficile della sua avventura in rossoblù?
“Ricordo un’annata molto difficile in cui rischiammo seriamente di retrocedere dalla serie B alla serie C. Lottammo fino alla fine per mantenere la categoria, e fortunatamente ci riuscimmo. Eravamo guidati da Sonetti, era il campionato 2001-2002.”
E dal punto di vista del rapporto con la gente e con i tifosi cosa si è portato dentro dei sette anni vissuti nell’Isola? Cosa le è rimasto nella mente e nel cuore?
“Io quando dico che mi sento sardo non mento. Mi reputo un figlio acquisito di questa terra, ce l’ho nel sangue. Credo che il rapporto con i tifosi sia decollato fin dal primo momento perché io ho capito subito cosa volevano e cosa si aspettavano i cagliaritani da chi vestiva la maglia rossoblù: una dedizione totale alla causa. Volevano che il calciatore fosse uno di loro, il primo tifoso del Cagliari.
Ogni volta che parlavo con loro mi facevano capire cosa significasse giocare per la squadra di un’intera Isola e mi caricavano a pallettoni. E per me la casacca coi quattro mori è la più bella del mondo: ho due figli sardi – e con questo ho detto tutto – e la Sardegna ormai è come una seconda casa.”
Secondo lei da cosa dipende questo legame viscerale tra i calciatori uruguaiani e l’Isola? La sensazione è che ci sia una profonda sintonia tra i sudamericani e i sardi, magari dettata da affinità caratteriali e culturali. Fatto sta che quasi tutti gli uruguaiani che sbarcano a Cagliari lasciano il segno non solo sul campo, ma anche tra la gente.
“Prima di tutto noi uruguaiani assomigliamo molto ai cagliaritani sotto il profilo caratteriale. Come loro siamo persone umili, instancabili lavoratori e uomini votati alla famiglia. Condividiamo alcuni valori fondamentali. Non a caso direi che almeno l’ottanta per cento degli uruguaiani che sono passati per Cagliari hanno fatto bene. Io credo che un giocatore uruguaiano, fosse anche talentuosissimo, prima di approdare in una grande squadra dovrebbe sempre venire a giocare a Cagliari: è l’ambiente ideale per crescere e per esprimersi al meglio. E la gente ti ama, ti coccola, ti vuole bene.”
Nelson, immagino che lei sappia della recente impresa del Cagliari, inaspettatamente tornato in serie A dopo un solo anno di purgatorio. Cosa augura alla squadra e ai tifosi per le prossime stagioni e, più razionalmente, cosa è lecito aspettarsi dai rossoblù in massima divisione?
“Intanto devo dire che sono stato molto contento quando Ranieri è tornato a Cagliari: ha dato un contributo decisivo alla squadra grazie alla sua grinta e alla sua grande personalità. Il suo arrivo ha rappresentato una vera svolta. Poi che dire? Certo che auguro al Cagliari, da tifoso appassionato quale sono, di fare grandissime cose l’anno prossimo in serie A. Speriamo che la dirigenza allestisca una squadra di alto livello per ottenere, come minimo, una salvezza tranquilla e senza patemi d’animo.”