Massimo Cellino si racconta: "Scelsi il Cagliari per amore della Sardegna. Giulini? Sapevo che avrebbe dato continuità al club"

Massimo Cellino si racconta: "Scelsi il Cagliari per amore della Sardegna. Giulini? Sapevo che avrebbe dato continuità al club"TUTTOmercatoWEB.com
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di Vittorio Arba

Massimo Cellino, ex presidente del Cagliari, ospite del programma “La Voce Sarda” su Videolina, ha ripercorso l’acquisto del club nel 1992, il legame con la Sardegna, gli anni più intensi della sua gestione, le difficoltà legate alla vicenda stadio e infine la cessione del sodalizio rossoblù a Tommaso Giulini. Di seguito le sue parole, sintetizzate da TuttoCagliari.net:

L’acquisto del club e la spinta del padre

"Io non sapevo neppure di cosa si parlava. Andavo allo stadio e tifavo Cagliari, ma non avevo idea di cosa volesse dire gestire una società di calcio. Ne parlai con mio padre, che mi disse una cosa che non dimenticherò mai: 'La Sardegna ci ha dato tanto. Se possiamo restituirle qualcosa, facciamolo, figlio mio. Se te la senti e ce la facciamo economicamente, prendiamolo'. Così acquistammo il Cagliari nel giugno del 1992. Lo acquistò la nostra famiglia, non io personalmente. Fummo contattati da Tonino Orrù, tramite mio fratello Alberto, che era amico del figlio. Ci chiesero la disponibilità ad acquistare il Cagliari perché loro non ce la facevano più finanziariamente. Non volevano venderlo alla penisola, perché sarebbe stata solo una vendita economica. Preferivano cederlo in Sardegna, per dare continuità al progetto. E così fu".

"Non avevamo idea di cosa significasse fare calcio"

"Non avevamo idea dei sacrifici economici e sociali che richiedeva una squadra di Serie A. Eravamo digiuni di calcio, inesperti e anche poco informati. Guardammo i libri contabili, sembrava tutto sotto controllo… ma non era così. Mio padre era piemontese, ma innamorato della Sardegna. Mi spinse a farlo per amore verso questa terra. Dopo neanche sessanta giorni mi disse: 'Figlio mio, cosa ti ho fatto fare…' All’inizio gestii il Cagliari quasi nascondendo a mio padre i veri costi degli investimenti. Dio volle che il primo anno andammo in Coppa UEFA: quello ci aiutò a recuperare parte delle spese. Creammo una società, un centro sportivo, basandoci sulle nostre possibilità familiari. Mio padre morì un anno dopo, e da lì tutto divenne più difficile".

"In famiglia ci siamo detti mille volte: ma chi ce l’ha fatto fare?"

"In famiglia ci siamo detti mille volte: 'Ma chi ce l’ha fatto fare?'. Non era stato compreso il nostro interessamento. All’epoca il calcio non era ancora un’attività a fine di lucro: le società si stavano trasformando in S.p.A., e io ho vissuto quel momento di passaggio dal calcio amatoriale a quello professionistico. Ho vissuto momenti belli e difficili. I più floridi furono dal 2003 al 2014, anni in cui il calcio italiano era sostenibile: i diritti tv erano equi, si poteva essere competitivi senza fare follie. Nel 2005, da presidente di Lega, firmai io il contratto con Infront. All’epoca il Cagliari incassava circa 36 milioni all’anno di diritti televisivi. Oggi, vent’anni dopo, incassa il 40% in meno. Per questo chi riesce oggi a mantenere il Cagliari in Serie A merita solo complimenti".

"La forza della Sardegna è il suo popolo"

"La forza della Sardegna è che i sardi tifano Cagliari. C’era tanto calore, anche se poco denaro. Ma quello che davano, lo davano col cuore. Lo sentivi ogni giorno. È qualcosa di impagabile. Ancora oggi vedo che esiste, e Giulini sta facendo grandi sacrifici. So quanto sia difficile: il calcio non è più quello di una volta".

"Quel Cagliari aveva un grande cuore"

"Di quei tempi ricordo tanti giocatori legatissimi alla maglia: Daniele Conti, Agostini, Cossu, Dely Valdés… tutti ragazzi che sarebbero rimasti a Cagliari col pianto nel cuore. In quegli anni c’era un Cagliari con tanto cuore: O’Neill, Dario Silva, gente che faceva gesti di umanità veri, come regalare un’auto al magazziniere. Dopo non l’ho più visto nel calcio. Ho avuto tanti allenatori, ma uno solo che sapeva ascoltare e confrontarsi da uomo, non solo da tecnico: Massimiliano Allegri. Gli dicevo: 'Hai perso? Vai, lavati, affronta la stampa. Non ti nascondere'. Aveva il dono dell’equilibrio e dell’umanità. Zola? Amava l’Inghilterra. Venne in Sardegna perché non gli rinnovarono il contratto al Chelsea, ma il suo cuore era ancora lì. Lo fece per affetto e riconoscenza, e noi fummo felici di accoglierlo".

"Ho perso tanto, ma la mia coscienza è a posto"

"Se tornassi indietro, tante scelte non le rifarei. Una in particolare: andare a Brescia. Ho sottovalutato il diavolo. È la città dove si bestemmia più di tutto nel mondo, e io credo in Dio. Mi ha offeso, mi ha fatto male. Ho perso tanto: denaro, dignità e amore per il calcio. Mi hanno fatto passare la voglia. Ma ho la coscienza a posto. Voglio essere sepolto in Sardegna, perché è casa mia. A Brescia mi consideravano un terrone, qui sono tra la mia gente. Ai tifosi sardi devo tutto. Nei momenti più difficili sono stati la mia forza: gli Sconvolts mi stavano vicino, con una pizza e una birra, e mi dicevano 'Presidente, ricominciamo'."

"Oggi non rifarei più il presidente di una squadra di calcio"

"Non ho mai avuto paura di dire quello che pensavo. Ma oggi, fare il presidente di una squadra di calcio, non lo rifarei. Ho visto troppa cattiveria e ipocrisia. Mi sono illuso di essere il paladino di un popolo, ma nessuno me lo aveva chiesto. È stata una guerra personale, e l’ho pagata cara".

Lo stadio, l’arresto e l’addio

"Quando parlavamo di stadio, cominciavamo a perdere partite. Era una maledizione. Non è facile tenere insieme squadra, bilancio e costruzione dello stadio. E ogni volta rinunciavo. Non ci fu collaborazione dal Comune, né con Floris né con Zedda. Alla fine, per disperazione, andammo a giocare a Trieste. Poi a Quartu, dove fummo arrestati per Is Arenas. Sono stato tre mesi in galera per il Cagliari, poi assolto, ma quello fu il punto di rottura. Da lì decisi di andare via: era diventata una guerra personale tra me e certe istituzioni. Non era giusto che pagasse il Cagliari. Non sono mai stato superstizioso, ma i giornalisti menagramo sì, li ricordo bene. Uno scrisse che avevo già mandato via Allegri: ecco, se non è menagramo quello…"

"Miami per la famiglia, Giulini per dare continuità"

"Miami fu una scelta di protezione per la mia famiglia. Non potevo farli vivere a Cagliari sotto quella pressione politica e mediatica. Mi serviva un luogo sereno per conciliare famiglia e calcio. Quando si fece avanti Tommaso Giulini, cedetti il Cagliari volentieri e a un prezzo basso. Era sano economicamente, in Serie A, e sapevo che con lui avrebbe avuto continuità. Io non potevo più andare avanti: il giorno dopo la cessione aprirono tutto ciò che prima mi avevano chiuso. Era diventata una cosa personale contro di me. Non era giusto usare il Cagliari per difendere Massimo Cellino. Ho preferito andare via, e lo rifarei".