Viola: "Con Ranieri ho capito che sarei potuto crescere ancora. Cagliari-Parma gara della mia svolta"

Ospite della seconda puntata di PodCasteddu, podcast del Cagliari Calcio condotto da Alessandro Spedicati, Nicolas Viola ha parlato del rapporto con Claudio Ranieri e della sua prima stagione in rossoblù, ovvero quella della promozione dalla B alla A. Di seguito le sue parole, sintetizzate da TuttoCagliari.net:
Mi viene in mente una bellissima conferenza stampa in cui a un certo punto Ranieri — tu non stavi neanche giocando, forse non avevi ancora giocato — dice: "Il leader di questo spogliatoio è Nicolas Viola". Allora tutti un po’ ci siamo guardati: "Ma Nicolas non sta giocando, non gioca… ci sta prendendo in giro, ci sta sviando?". Perché, sai, lui nelle conferenze… eh, Ranieri non si capiva mai se ti stava dicendo la verità, una bugia, se ti stava sviando, se ti voleva prendere un po’ in giro. Come ti ricordi quelle dichiarazioni? Come hai reagito? Te le aspettavi?
No, no. Perché io ero infortunato in quel periodo, stavo risolvendo alcune cose mie. Il mister, quando è arrivato, ha parlato con quelli più grandi, e si vedeva che nutriva una stima dal punto di vista umano. Come giocatore non mi conosceva tantissimo — oppure sì, ma io ero fuori, quindi mi ero allenato pochissimo. Sono stati dei mesi un po’ particolari. Credo che sin da subito ci sia stato un rapporto da uomo a uomo. Con lui sono riuscito a parlare molto di più rispetto ad altri allenatori, insieme anche a Nicola, che secondo me è un altro allenatore con cui puoi parlare tantissimo.
Ti ascoltava?
Sì, ti ascoltava. Era un confronto, un bel confronto. Lì ho capito un altro tassello importante della mia vita. A Cagliari non stavano andando bene le cose, facevamo fatica, anche se avevamo fatto una squadra per vincere il campionato. A fine girone eravamo in una zona che forse non era nemmeno da playoff, erano momenti difficili. Quando è arrivato lui, ho capito che lì potevo crescere ancora. E dipendeva da me, come sempre. Mi sono messo a disposizione in tutto, anche non giocando. Ero lì, pronto a "rubare" il più possibile da una persona che ha allenato tantissimi campioni, ha vinto trofei, si era messo in gioco anche lui. Ecco, ero curioso. La curiosità mi ha spinto ad aprirmi, a essere a disposizione. Secondo me lui ha visto la mia disponibilità, e da lì è nato questo feeling.
La figura dell’allenatore, l’hai vissuta come una figura paterna?
Sì, assolutamente sì. Ho sempre avuto difficoltà con gli allenatori.
Perché avevi difficoltà con tuo padre?
Sì. Ho sempre visto l’allenatore come un’immagine paterna. Fino a un certo punto andava tutto bene, poi arrivava sempre un momento di crollo emotivo. La vita mi ha riproposto sempre la stessa dinamica con gli allenatori. Perché la vita ti ripresenta sempre il conto, finché non lo superi. Finché non lo superi, non te lo togli più. E allora per anni la vita mi ha messo a dura prova, mi ha messo sempre davanti questa dinamica. Poi, come dicevi tu prima, con lo studio, con dei percorsi, con la comprensione delle emozioni e dei sentimenti… ho capito. Non è stato facile, ci ho messo qualche anno. Ma togliendo quelle immagini che mi portavo dentro, immagini sicuramente vissute da bambino, che mi sembravano quasi una punizione…quando ho capito che non c’era niente da punirmi, sono riuscito a dialogare di più, a parlare, a capire e ad accettare diverse situazioni. A capire le scelte degli altri. A vivere una sana competizione — anche se “competizione” non è un termine che mi piace tanto. Ho iniziato a vedere le persone per quelle che sono, non per quello che immaginavo io.
Con Ranieri poi alla fine è finita molto bene, come mi stavi dicendo.
Una giornata che i tifosi del Cagliari ricorderanno a lungo. E poi un bellissimo saluto al pubblico. Intanto, c’è una piccola storia: Zappa racconta che tu sapevi che quella partita l’avreste vinta. Che sei arrivato dicendo: "Questa la vinciamo". E poi arriva il momento di salutare i tifosi e dici la classica frase da meme: "Sei bella come un gol di Pavoletti al 94°". Quel momento lì… in che modo ti ha saldato ai tifosi del Cagliari?
Io ricordo quei dieci minuti di Bari. Ero entrato sul 2-0 per il Parma, in casa, e poi abbiamo vinto 3-2. Il mister mi ha spiazzato, perché non mi aveva mai preso in considerazione prima. Avevo fatto 20 partite senza giocare. Perdevamo 2-0, io non mi stavo nemmeno riscaldando… e lui si gira verso la panchina e dice: "Entra Viola".
E tu sei stato individuato da Ranieri come quello che doveva entrare e cambiare la partita?
Sì. Stavamo perdendo 2-0, ma io ero tranquillissimo che quella partita sarebbe cambiata. Infatti il secondo tempo fu meraviglioso: trovammo tre gol. In quel momento ho sentito che non solo mentalmente, ma anche in campo potevo dare qualcosa. Avevo dato tanto fuori dal campo, mi ero messo in gioco… e lì mi stava tornando tutto. Perché nella vita, quando dai qualcosa, spesso ti torna. Io penso a dare. Poi ricevere… vediamo. Ma non mi concentro su quello. Quando vuoi dare qualcosa, la gente capisce che hai qualcosa da tirare fuori. E quella è stata la base di partenza per tutto quello che è arrivato dopo. Il secondo tempo di Cagliari-Parma è stata la vera svolta dei playoff. È stata una nuova fase di me a casa. Scalpitavo.
Ti aspettavi di entrare?
Ma io mi alleno per giocare 90 minuti. Nella mia testa io gioco per 90 minuti. Poi, se l’allenatore decide di non farmi entrare o di farmi giocare 5 minuti… io cerco di essere determinato in quei 5. O in 10. Non guardo più i minuti. Dentro di me io sono un titolare. Punto. Il mister deve sentire che io sono un titolare. Poi decide lui: se farmi giocare, se usarmi prima o dopo, in base alle esigenze tecniche. Ma ogni giocatore deve sentirsi titolare. Deve esserlo.