UN MIRTO CON... GIACOMO BANCHELLI

UN MIRTO CON... GIACOMO BANCHELLITUTTOmercatoWEB.com
© foto di Lorenzo Marucci
domenica 20 agosto 2023, 00:00Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Un attaccante che, nel corso della sua carriera, ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato.

Punta centrale rapace, opportunista, capace anche di grandi giocate individuali e dotata di un feeling innato col gol, Giacomo Banchelli in maglia rossoblù ha lasciato solo intravedere le sue enormi potenzialità. Colpa soprattutto di un grave infortunio che lo ha tagliato fuori proprio nel momento in cui sembrava potersi caricare l’attacco del Cagliari sulle spalle.

In Sardegna per una stagione e mezzo, il centravanti toscano ha vissuto l’incubo della retrocessione al San Paolo contro il Piacenza e la prima metà della stagione della riscossa sotto Ventura, che sarebbe poi culminata nel trionfale ritorno in serie A.  

Giacomo, ripensando alla sua esperienza in Sardegna cosa le viene in mente? Partiamo dall’arrivo a Cagliari, nel 1996…

“Personalmente ho solo ricordi bellissimi, perché a Cagliari mi sono trovato molto bene. Tuttavia nei primissimi mesi in rossoblù il tecnico, l’uruguagio Gregorio Perez, non mi faceva quasi mai giocare. Davanti a me c’erano sia Dario Silva che Luis Romero, entrambi uruguaiani. Io e Muzzi partivamo praticamente sempre dalla panchina. Così chiesi alla società di andare via in prestito: c’era il Verona che mi voleva, e che mi aveva cercato anche prima che mi trasferissi in Sardegna.

Con l’avvento di Mazzone in panchina trovai finalmente il mio spazio. Ma la sfortuna era in agguato: dopo una manciata di partite giocate e tre reti messe a segno mi ruppi il crociato, concludendo in largo anticipo la mia stagione. Al mio posto venne preso Tovalieri, che fece benissimo. Tuttavia non riuscimmo a spuntarla sul Piacenza nel famoso spareggio salvezza: io quel giorno ero a bordo campo ma non arruolabile, perché ancora convalescente.”

Probabilmente senza quel grave infortunio lei avrebbe avuto un posto di rilievo nelle gerarchie di Carletto Mazzone, e avrebbe potuto disputare buona parte della stagione da titolare.

“È possibile. Ricordo distintamente che Perez fu mandato via dopo una sconfitta casalinga col Parma. Io in quella partita ero stato spedito direttamente in tribuna, e il presidente Cellino - che credeva in me e mi ‘vedeva’ come attaccante titolare molto più di Perez, avendomi voluto come contropartita tecnica nella trattativa che aveva portato Luis Oliveira alla Fiorentina – si inalberò un poco. Lo 0-1 coi ducali fece definitivamente precipitare la situazione: arrivò l’esonero e Mazzone subentrò a Perez. E io tornai a vedere la luce. Del resto non pretendevo la titolarità fissa: la mia ambizione, dopo qualche stagione vissuta a Firenze in maglia viola, era quella di andare a Cagliari a giocarmela con le altre punte in rosa. Ma stare sempre in panchina e non essere mai preso in considerazione non è che mi facesse piacere. In più, a detta di Gregorio Perez il suo connazionale Romero era un attaccante più forte di Batistuta…

Come dicevo, con Mazzone tutto si azzerò. Carletto rimescolò le carte, dando fiducia anche a me e a Muzzi.”

L’arrivo di sor Magara fu fondamentale per risollevare le sorti della squadra, tanto che – nonostante il grave infortunio nel quale lei incorse – disputaste un girone di ritorno col vento in poppa, mettendo in mostra anche un bel calcio. A suo avviso come riuscì il tecnico romano a dare una netta sterzata alla stagione di quel Cagliari?

“Avendo maggiore conoscenza della serie A dell’epoca rispetto a Perez, Mazzone si affidò soprattutto a uno zoccolo duro di giocatori italiani. E poi quando si cambia allenatore tutti i calciatori – soprattutto quelli che prima giocavano poco – ritrovano entusiasmo e motivazioni, la competizione cresce e ognuno fa del suo meglio per ritagliarsi uno spazio importante. Nel nostro caso, francamente con Perez giocavano quasi solo i connazionali del mister. E la sensazione era che ci fosse una sorta di ‘combriccola’ uruguaiana…”

15 giugno 1997, spareggio col Piacenza di Bortolo Mutti al San Paolo. Cosa andò storto, a suo parere? Il Cagliari godeva dell’appoggio di migliaia di sardi assiepati sugli spalti e anche, tecnicamente, dei favori del pronostico…

“In effetti lo stadio era quasi interamente tinto di rossoblù: i tifosi del Piacenza, al confronto dei nostri, erano pochi e sparuti. Non so se fu la tensione o la pressione di doverci giocare tutto in novanta minuti a tradirci, dopo una rincorsa incredibile come quella che avevamo fatto in campionato. Tra l’altro il giorno prima, il 14 giugno, era nata mia figlia; la mattina raggiunsi in tutta fretta Napoli da Firenze, accompagnato in macchina da mio padre, per unirmi ai compagni in vista della gara.

Forse non giocò a nostro favore il fatto di essere considerati favoriti alla vigilia, in virtù del cammino fatto nelle ultime giornate di serie A. E poi in una partita secca di spareggio può davvero succedere qualsiasi cosa. Di certo fu un gran peccato, soprattutto per il popolo rossoblù accorso in massa allo stadio dalla Sardegna.”

L’anno seguente, stagione 1997-’98, lei rimase al Cagliari e iniziò il torneo di serie B anche piuttosto bene, andando più volte in rete. Poi arrivò la cessione alla Reggiana. Cosa la spinse a cambiare aria a stagione inoltrata?

“Rientravo da un infortunio molto grave. In panchina sedeva Ventura, che aveva portato con sé parecchi giocatori che aveva allenato a Lecce: da Zanoncelli a Macellari a De Patre. Credo che io non gli andassi granché a genio dal punto di vista tattico: il mister preferiva attaccanti più di movimento che non tipicamente da area di rigore come il sottoscritto. Nonostante questo, a inizio stagione mi mandò in campo sia in campionato che in Coppa Italia. Segnai qualche gol ma poi, contro il Foggia in casa, sbagliai un calcio di rigore. Lì si ruppe qualcosa. Si vocifera, tra l’altro, che in occasione di quell’episodio Pierpaolo Bisoli, che era il capitano, dopo aver preso le mie difese con mister Ventura venne messo sul mercato e infine ceduto. Di fatto, io non venni più impiegato. Così chiesi la cessione - anche perché dopo l’infortunio avevo bisogno di giocare con continuità - e andai alla Reggiana.”

Giacomo, venendo al presente lei saprà sicuramente che il Cagliari – dopo una cavalcata tanto avventurosa quanto elettrizzante – è tornato in serie A sotto la guida di Claudio Ranieri. Cosa possiamo aspettarci quest’anno dai rossoblù, nuovamente alle prese col massimo campionato?

“La cosa più importante è che sia stato confermato mister Ranieri. Io qualche mese fa feci un collegamento con un’emittente sarda – il Cagliari era atteso dalla trasferta di Pisa – e dissi che, a mio avviso, la squadra sarebbe salita in serie A. Per la tranquillità che Ranieri sa dare ai suoi giocatori, per l’esperienza di lungo corso che ha nella gestione del gruppo.

Buona parte dei calciatori dell’anno scorso sono rimasti per la serie A, e avranno grandi motivazioni e fame di risultati. Chiaramente serie A e serie B sono due mondi molto distanti. Mi concentrerei sull’attacco: allo stato attuale è rimasto quello della serie B con l’eccezione di Shomurodov, che però è più una seconda punta, un giocatore abile a lanciare il contropiede e veloce negli spazi. Quanto a Lapadula, lui è un top player in serie B. In serie A non so se riuscirà a ripetersi. Quel che è certo è che se i rossoblù si vogliono salvare devono trovare un attaccante da doppia cifra, altrimenti sarà molto dura. Un profilo alla Joao Pedro, per capirci.”