UN MIRTO CON... MARIO IELPO

UN MIRTO CON... MARIO IELPOTUTTOmercatoWEB.com
mercoledì 24 maggio 2023, 03:22Un mirto con...
di Matteo Bordiga

È uno dei portieri che, assieme a pochi altri eletti, hanno marchiato a fuoco il loro nome nella storia rossoblù. Grandi prestazioni, parate miracolose, eccezionale continuità di rendimento e poi tante, tante vittorie: una doppia promozione dalla C alla A, una Coppa Italia di serie C, una salvezza miracolosa in massima divisione e infine, impagabile ciliegina sulla torta, la conquista dell’Europa con la banda Mazzone nel 1993.

Un crescendo rossiniano che ha contribuito a scolpire i suoi sei anni di permanenza in Sardegna nella memoria di tutti i tifosi cagliaritani over 40, che allo stadio applaudivano i suoi voli e le sue prodezze tra i pali.

Mario Ielpo, avvocato che coltiva tra le altre anche la passione del tennis, si concede volentieri ai microfoni di Tuttocagliari.net per rispolverare i ricordi “di quello che è stato il periodo più bello della mia vita”, ma anche per fare le carte al nuovo Cagliari del “suo” Ranieri alla vigilia dei tanto attesi playoff.

Mario, lei è stato protagonista di un’avventura fantastica in Sardegna, partita dal purgatorio della serie C e culminata in un insperato approdo in Europa. Cosa ricorda di quei magnifici sei anni, dal 1987 al 1993?

“Sono arrivato quando a Cagliari si raccoglievano ancora i cocci di un campionato disastroso, che aveva fatto precipitare la squadra in terza divisione. Forse il periodo più critico di tutta la storia rossoblù. Si cercava di ricostruire dalle macerie. Ciononostante il mio ricordo del primo allenamento col Cagliari è un qualcosa che mi porto sempre nel cuore: per saggiare i miei riflessi mi tirò in porta il mito Gigi Riva, che mi sottopose a un fuoco di fila col suo sinistro magico.

Poi arrivarono gli Orrù, che salvarono economicamente la società ed ebbero la grande intuizione, dopo la nostra imprevedibile e clamorosa sconfitta contro il Campania Puteolana allenato da un giovanissimo Claudio Ranieri, di portare nell’Isola quel mister romano così illuminato e promettente. Fu la mossa vincente: i successivi cinque anni, fino alla qualificazione in Coppa Uefa del 1993, furono il periodo più felice della mia vita. Ottenemmo risultati straordinari in serie, e a Cagliari nacquero i miei due figli. Il mio legame con questa terra è indissolubile.”

Come potremmo definire la crescita del Cagliari targato Ranieri da un punto di vista tecnico-tattico? Quella squadra, negli anni della doppia promozione e della salvezza in serie A, praticava un calcio moderno e innovativo per l’epoca. È d’accordo?

“In realtà direi che l’impostazione tattica di Ranieri, negli anni in cui l’abbiamo avuto a Cagliari, è stata sempre più o meno simile. Di certo siamo cresciuti tutti insieme: lui non ci ha insegnato solo il calcio, ma ci ha insegnato la vita. È un uomo dai grandi valori, un vero signore. E questo nel rapporto coi giocatori è importantissimo.

Parlando di schemi di gioco, all’epoca facevamo quello che, nell’evoluzione moderna, è diventato una sorta di 3-5-2. Vale a dire che giocavamo con un libero, due marcatori, un terzino sinistro fluidificante e l’ala destra tornante. Poi i centrocampisti e le due punte. Abbiamo fatto un cammino formidabile, direi, soprattutto in serie B: quell’anno, se si va a leggere i nomi della squadra, eravamo meno forti rispetto alla stagione precedente disputata in serie C. In avanti, per dire, avevamo Paolino e Provitali, che erano ottimi giocatori ma provenivano dai settori giovanili di Roma e Inter. In serie C il nostro bomber era Coppola, un lusso per la categoria. Ciononostante siamo saliti in serie A senza grossi problemi, al termine di un torneo tra l’altro molto competitivo e impegnativo.”

Cosa dire poi della sfavillante salvezza conquistata in una serie A difficilissima e ricca di squadroni nel campionato 1990-91?

“Fu una salvezza meritatissima e alla fine ottenuta, direi, anche con una certa facilità, in anticipo sulla chiusura del torneo. Come al solito, festeggiammo il traguardo nella settimana di santa Rita. Dico come al solito perché c’è un retroscena dietro a quelle stagioni vissute con Ranieri: in ritiro andavamo sempre a Roccaporena, che è il paese di santa Rita – nota come santa Rita da Cascia, ma più precisamente nata a Roccaporena, che di Cascia è una piccola frazione. Ebbene, tutti gli anni raggiungevamo il nostro obiettivo - che fosse la salvezza o la promozione - in quella benedetta settimana di santa Rita, a maggio.   

La stagione iniziò in maniera drammatica: prendemmo tre pappine in casa dall’Inter di Klinsmann. Non esattamente l’impatto che avevamo sognato con la serie A. Del resto io stesso quell’anno, come anche altri miei compagni, subii un po’ il salto di categoria. Il ’90-’91 non fu il mio campionato migliore in maglia rossoblù. In serie C avevo giocato benissimo, in serie B forse ancora meglio. Ma il primo anno in massima divisione fu anche per me di assestamento, tanto che alternai qualche buona partita a qualche errore per me inusuale.

Ma la svolta del torneo arrivò ‘grazie’ al mio amico Simone Braglia, che in Cagliari-Genoa, con una papera solare su un tiro-cross innocuo di Fonseca che non sarebbe nemmeno finito in porta, ci regalò una vittoria preziosissima – ottenuta peraltro senza mai tirare nello specchio della porta avversaria – che fu il trampolino di lancio di una rincorsa entusiasmante.

Prima di allora avevamo vinto solo col Napoli al San Paolo, inanellando poi una terribile serie di sconfitte consecutive. I due punti col Genoa ci diedero ossigeno e morale, e fecero scattare la scintilla di cui avevamo bisogno. Il resto è storia.”

È possibile azzardare un confronto tra Claudio Ranieri e Carletto Mazzone? I due tecnici che portarono in alto i colori rossoblù in quegli anni sono in qualche modo assimilabili oppure appartengono a due mondi completamente diversi?

“Beh, diciamo che Mazzone era più ruvido, e se non ci andavi d’accordo potevi avere qualche difficoltà. O eri dei suoi o eri contro di lui: ma se eri dei suoi ti coccolava, ti esaltava, ti proteggeva. Ad esempio, nel mio caso andava a dire a tutti che ero il portiere più forte d’Italia! Certo, se qualcosa non gli quadrava passavi un brutto quarto d’ora. Diceva sempre: ‘Se non volete rotture di scatole, vincete la domenica e io non vi dico niente!’.

Dal punto di vista tattico, Carletto era un allenatore estremamente pratico. Più pragmatico anche dello stesso Ranieri, che al confronto è molto più teorico. Ad esempio spesso con Claudio, quando stavamo perdendo, facevamo il fuorigioco alto e alzavamo il pressing. Mazzone una volta mi disse: ‘A Ielpo, ma se facciamo il fuorigioco alto quando stiamo perdendo, perché non lo facciamo anche quando stiamo pareggiando?’. Aveva queste battute spiazzanti che ti lasciavano disarmato. In effetti il concetto non era sbagliato: se il principio è giusto prima, allora è giusto anche dopo. Penso a quelli che mettono dentro una valanga di attaccanti per rimontare, e guarda caso non ci riescono mai: magari era meglio cambiare prima approccio, no?

Sul piano dei numeri e dello schema in campo, Mazzone piano piano ci ha traghettato dalla classica formula a due marcatori a quella con un solo marcatore. E dire che il mister di Trastevere passava per essere un inguaribile difensivista: eppure con lui Festa spesso non giocava, stava in panchina. Si alternava con Niccolò Napoli, che Mazzone gli preferiva in quanto era un giocatore più duttile, più poliedrico e anche più portato a fare gol.

Giocavamo sempre col libero, che era Aldo Firicano, e a volte con un solo marcatore. Prima di Mazzone davanti ad Aldo c’erano sempre Festa e Valentini, due stopper arcigni vecchia scuola. Festa sull’uomo era implacabile, mentre coi piedi ci sapeva fare un po’ meno. Valentini invece era un pochino meno forte sull’uomo, ma era più abile a impostare e a giocare la palla.

Con l’evoluzione da due marcatori a un solo marcatore abbiamo indubbiamente assunto una connotazione tattica offensiva, sviluppando un gioco d’attacco più spregiudicato e assumendo in campo un atteggiamento più propositivo.”

Veniamo al Cagliari dei giorni nostri. I playoff, dopo un’annata tribolata, sono ora realtà. Che possibilità attribuisce alla compagine isolana di risalire in serie A, sotto la guida dello stesso Ranieri che aveva condotto voi alla memorabile scalata?

“Ora inizierà un altro campionato a sé stante. Conta moltissimo come si arriva a questi appuntamenti decisivi, e il Cagliari ci è arrivato in crescendo, con una fiducia sempre maggiore nei propri mezzi e, cosa non da poco, con in rosa il capocannoniere della serie B. E poi l’apporto di Ranieri: il mister anche nelle situazioni più difficili continua a spronarti, a incoraggiarti, a sprizzare ottimismo. Lo faceva sempre anche con noi. Quando eravamo ultimi in serie A ci ripeteva: ‘Non so come, ma sono sicuro che ci salveremo. Sono certo che ce la faremo’. Questo approccio mette i calciatori nelle condizioni di esprimersi al meglio delle proprie potenzialità, forti di una tranquillità e di una sicurezza che gli deriva dall’ambiente e dal proprio condottiero.

E poi il mister è uno che si fa ascoltare, che si pone in maniera credibile. Riesce a convincere i giocatori dell’efficacia e della funzionalità delle sue idee. Ci diceva sempre che non contano i numeri o i moduli con i quali una squadra si schiera in campo: conta che il giocatore sia profondamente convinto di star adottando la tattica giusta per vincere la partita.”