UN MIRTO CON... RAFFAELE PAOLINO

UN MIRTO CON... RAFFAELE PAOLINO
martedì 20 giugno 2023, 08:30Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Perdutamente innamorato della Sardegna e del Cagliari. Tanto che a Parma, nella semifinale dei playoff di serie B, era in curva coi tifosi rossoblù a spingere la squadra verso l’agognata finale.

E questo nonostante siano passati tantissimi anni dalla sua esperienza nell’Isola, breve ma intensa ed elettrizzante. Perché quei colori, quei tifosi, quel mare, quella gente, quel profumo di mirto e di salsedine gli sono entrati dentro e non l’hanno più abbandonato. Lo hanno stregato come un colpo di fulmine e lo hanno ammaliato come una favola d’amore e d’estate incanta un giovane ragazzo.

Aveva appena venti primavere Raffaele Paolino quando la Sardegna l’ha accolto e l’ha cullato come solo una terra madre sa fare. Due anni in riva al Poetto per sposare definitivamente l’Isola come la sua casa, come il suo porto sicuro. E così, trentadue anni dopo, ogni volta che il Cagliari scende in campo lui si riveste di rossoblù e tifa come il primo degli ultras. Disperandosi quando c’è da disperarsi, ma gioendo come un bambino quando c’è da esaltarsi. Come al gol di Pavoletti, al 94’ della sfida del San Nicola.

Raffaele, come commentare questi folli playoff che alla fine hanno riportato il Cagliari nell’olimpo del calcio italiano?

“Da due anni sostenevo, sui social e non solo, che Claudio Ranieri era l’unico che poteva salvare il Cagliari dal ginepraio in cui si era cacciato. In città montava il malcontento, il presidente e in generale la società non erano ben visti dalla piazza, si era perso l’entusiasmo genuino che aveva sempre caratterizzato il tifoso rossoblù. L’arrivo di un uomo, di un allenatore e di un professionista come Ranieri era l’unica soluzione. E naturalmente ha funzionato. Il Cagliari ha cominciato a macinare risultati, a recuperare autostima e a riaccendere la passione nell’ambiente, ritrovando la storica sintonia con il suo pubblico.

Dal punto di vista tecnico la squadra è diventata più solida ed equilibrata, mentre nel girone d’andata non appena prendeva gol sbracava e si smarriva. E poi ha sfoderato un carattere di ferro, anche questo merito dell’allenatore. Il ribaltone col Parma tra primo e secondo tempo, da 0-2 a 3-2, è tutta opera di Ranieri. Più in generale mi spingerei a dire che l’ottanta per cento della promozione è frutto del lavoro e dell’esperienza del tecnico, mentre il restante venti per cento va ai giocatori, che si sono ricompattati. Un plauso anche a Giulini: non era scontato riuscire a convincere sir Claudio a tornare in Sardegna, dopo l’epopea delle tre stagioni trionfali a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Il presidente è stavo bravo a trovare gli argomenti giusti e a riportare nell’Isola il figliol prodigo.”

Lei Ranieri lo conosce bene, perché all’epoca era un “pallino” del giovane mister.  Soprattutto in serie B il tecnico romano le dava molto spazio.

“In serie B ho giocato titolare 32 delle 34 partite. In serie A sono sceso in campo 21 volte. So bene cosa pretende Ranieri dai suoi giocatori. Tanto per cominciare è un vero signore, leale e sincero, perché ti parla in faccia e mai alle spalle. Instaura un dialogo molto profondo coi calciatori. Però attenzione: ci sono anche le sue proverbiali sfuriate, che fanno paura. Racconto un aneddoto. All’epoca io, Provitali, Cappioli e Rocco, quattro elementi su cui Ranieri faceva molto affidamento, attraversavamo un periodo di calo fisiologico. Ci stava, eravamo giovani. Bene, il mister ci chiuse per tre settimane all’hotel Mediterraneo, tagliando quasi tutti i nostri rapporti con l’esterno. Non avevamo televisione e radio, non potevamo leggere i giornali. Potevamo sentire solo le nostre famiglie per due volte alla settimana. Praticamente eravamo isolati dal mondo, nelle nostre suite che si affacciavano sulla basilica di Bonaria.

Ma tengo a precisare che non si trattava di una misura punitiva: era un modo per affrancarci da tutte le critiche e da tutte le pressioni che arrivavano dai media. I giornalisti scrivevano spesso, in quel periodo, che Paolino e Provitali avevano smarrito il feeling con il gol, che Cappioli e Rocco erano giù di forma… Così Ranieri volle proteggerci piazzandoci per venti giorni in una specie di campana di vetro, per non farci demoralizzare da quello che succedeva e si diceva fuori. Ovviamente trascorreva molto tempo con noi: spesso facevamo colazione, pranzavamo e cenavamo insieme. Ci ascoltava, ci dava dei consigli, ci coccolava. Ma noi dovevamo attenerci rigorosamente alle sue regole.

Nella gestione del Cagliari attuale ho rivisto il ‘nostro’ Claudio: sicuramente ha fatto il lavaggio del cervello a tutti i giocatori, uno per uno, e poi ha sperimentato vari moduli. Ha provato il 4-3-3, il 4-4-2, il 4-3-1-2… Però se tu non hai interpreti pronti ad applicarsi con abnegazione, e a sacrificarsi in tutti i momenti della partita, hai voglia a snocciolare numeri… Un tecnico come Ranieri prima interviene sulla testa dei suoi uomini, poi decide la strategia e l’approccio tattico. Faccio l’esempio di Zito Luvumbo: mi hanno detto che, al momento di farlo entrare in campo nella partita casalinga col Parma sul risultato di 0-2, l’ha spronato e catechizzato, dicendogli che era giunto il momento di far vedere a tutti cosa sapeva fare. Dopo averlo massacrato, letteralmente massacrato – più di qualunque altro giocatore – durante gli allenamenti. Questo è Ranieri: un grandissimo psicologo e motivatore.

Ora spero che gli costruiscano una squadra all’altezza della serie A. Lo dico chiaramente: secondo me ha fatto un miracolo a conquistare la promozione con la rosa attuale. Per fare bella figura nella massima serie occorrono almeno sei-sette innesti importanti. Ma sono sicuro che, avendo già deciso di rimanere alla guida del Cagliari per la prossima stagione, gli siano state fornite precise garanzie.”

Lei era in curva col popolo rossoblù a Parma, nella semifinale di ritorno.

“Assolutamente sì.  E devo dire che ho visto un Cagliari non solo compatto, ma anche intelligente e votato al sacrificio. Tutti si aiutavano, Lapadula rinculava sulla linea dei difensori… Uno per tutti, tutti per uno. Era chiaro che i calciatori giocavano per l’allenatore, animati da una grande unità di intenti e da una ‘garra’ feroce. Poi a Bari sono andati a vincere davanti a sessantamila tifosi avversari. È vero che c’è stata un po’ di buona sorte, col gol di Pavoletti arrivato proprio al fotofinish, ma il Cagliari stava giocando meglio del Bari e costringendo i galletti nella loro trequarti difensiva. Insomma, la serie A se l’è andata a prendere e se l’è guadagnata con merito.”