Unione Sarda - Marchetti, sognando Sudafrica

Ha conosciuto il lato oscuro del calcio, quello fatto di società fallite e stipendi non pagati. Poi - quando pensava che fosse finita - ha preso a frequentare i piani alti del calcio e adesso è entrato dalla porta principale nel mondo dorato della Nazionale. Perché quella che ha raggiunto venerdì scorso Federico Marchetti, 26 anni, portiere-prodigio del Cagliari, è «una convocazione vera, più vera di quella dell'altra volta», dice il diretto interessato.
L'altra volta, Lippi lo ha chiamato per un'amichevole di fine stagione con l'Irlanda del Nord (strapazzata 3-0 a Pisa, con Federico ottimo esordiente), questa volta lo ha convocato per un test importantissimo, a Basilea contro la Svizzera, che precede le gare di qualificazione ai mondiali, e soprattutto lo ha promosso vice Buffon. «Allora c'erano tanti esordienti», racconta Marchetti, «questa volta, ci sarà tutto il nucleo storico azzurro. Sento che è un'occasione diversa dalla precedente. A questo punto lo ammetto, sogno di andare ai mondiali in Sudafrica, nel giugno del 2010. Posso farcela ma dovrò stare molto attento a non sbagliare». Crescerà l'ansia da prestazione? «Non nego che sentirò un po' più di tensione ma paura mai. L'errore è sempre in agguato, sbaglia solo chi non fa niente». Ed è ancor di più in agguato per chi svolge il difficile ruolo del portiere. «Giocare in porta è un'altra cosa», raccontava Marchetti a Roberto Montesi, che ne ha fatto un ritratto per la rivista ufficiale del Cagliari. «Il ruolo in sé è affascinante. Sei l'ultimo, non puoi sbagliare. Se sbagli tu, è gol, nessuno può rimediare. Allora devi sempre farti trovare pronto. Puoi fare da spettatore per novanta minuti, stai pensando a altro, e ti arriva quel tiro assassino che ti frega. E sei da solo». La solitudine del portiere, appunto, quella che spinge gli interpreti del ruolo ad assumere atteggiamenti bizzarri o spavaldi, comunque fuori dalla norma. Aspetti di cui non si trova traccia in Marchetti. Viso pulito, piaceri comuni, come la musica italiana, la playstation, la fidanzata, Rachele Mura, di origini sarde (il papà è di Siliqua) come denuncia il cognome.
Marchetti inizia a fare il portiere per caso (pioveva, nessuno voleva stare in porta per paura del fango, ci andò Federico e non ne uscì più, per fortuna), poi sbatte il muso contro l'altra faccia della medaglia: Pro Vercelli che non paga gli stipendi, Crotone che fa la stessa cosa, Treviso dove non gioca mai (ma dove conosce Paolo Bianco, suo compagno in rossoblù l'anno scorso), poi il Torino. La grande chance. Ma è un'estate caldissima per la gloriosa società granata, che crolla sotto il peso dei debiti. Marchetti resta disoccupato (come il tecnico Daniele Arrigoni, che aveva lasciato il Cagliari qualche mese prima) e dispera di uscire dal tunnel. «Ero lì lì per smettere. Mi ha aiutato l'AlbinoLeffe, che mi ha ingaggiato e girato in prestito alla Biellese, in serie C2. Da lì è iniziata la risalita». E che risalita.
Due splendide stagioni in serie B con l'AlbinoLeffe, la chiamata del Cagliari, quella di Lippi. «Mi sembra di sognare». Una crescita che potrebbe anche far girare la testa. «Sono felice ma tengo i piedi per terra». Carattere prima di tutto. «Quando sono arrivato al Cagliari sentivo che intorno a me c'era qualche perplessità. Lo capivo, sostituivo Storari che era stato determinante per la miracolosa salvezza dell'anno prima. Ho avuto un precampionato difficile, mi sono dovuto ambientare. Mi hanno aiutato i compagni, la società, Allegri. E Landucci, il preparatore dei portieri. E le cose sono cambiate, per me e per la squadra. Poi, quando è arrivato Lupatelli, sono cresciuto ancora. È un ragazzo eccezionale e un professionista esemplare. Ha cento presenze in serie A e ha messo la sua esperienza a mia disposizione. Non è da tutti essere così altruisti».
La tournée in Portogallo non è felice né per il Cagliari né per Marchetti. Due secche sconfitte con Braga e Porto, molti gol subiti, parecchie incertezze. «Ho reagito aggredendo il problema. A Braga sbagliai qualche uscita alta e io, a ogni pallone alto, insistevo a uscire. Potevo starmene tranquillo tra i pali, lasciar fare ai miei compagni. Invece, rischiavo». Segnale di forte personalità.
Formata anche grazie a esperienze professionali e di vita molto forti. Come lo scontro frontale con un camion in autostrada. L'auto prende fuoco, Federico e due amici ne escono vivi per miracolo, spaccando il vetro del finestrino e abbandonando la vettura prima che venga divorata dalle fiamme. Non è andata altrettanto bene ad altri due suoi amici del cuore, Andrea e Francesco, scomparsi in circostanze drammatiche poco tempo fa. Federico li ricorda con un tatuaggio sull'avambraccio: «Andrea e Francy with me forever», “Andrea e Francesco con me per sempre”. Per ricordare che la vita non è solo azzurra come le maglie della Nazionale ma presenta anche un lato oscuro, che Marchetti ha conosciuto e che non vuole dimenticare.