ESCLUSIVA TC - FRANCOIS MODESTO: "Sarò legato per sempre al Cagliari. La mia annata migliore con Zola nel 2004. La Sardegna e la Corsica sono Isole con storie simili"

Da un’Isola all’altra. Stesso clima (quasi), stessi paesaggi, stessa atmosfera. Stessa magia. Tanto che a Francois Modesto, corso doc di Bastia, anche a distanza di tanti anni dalla sua esperienza in maglia rossoblù la Sardegna è rimasta nel cuore. Segue tuttora il Cagliari e, come un tifoso qualunque, gioisce per la strepitosa promozione ottenuta dalla banda-Ranieri.
Difensore dinamico e coriaceo, abile anche in fase di spinta, è sbarcato in Sardegna nel 1999, misurandosi in una delle serie A più competitive e qualitative di sempre. Poi ha vissuto quattro anni in B: un crescendo rossiniano, partito da campionati anonimi (se non pericolanti: vedi la stagione con Sonetti in panchina, in cui il Cagliari ha scongiurato il rischio-serie C solo alle ultime giornate) per poi sfociare nel gran finale della promozione in massima serie conseguita, tra squilli di trombe e rulli di tamburi, sotto la direzione del gran maestro Gianfranco Zola nel 2004.
I tifosi rossoblù ricordano bene la ‘garra’, il temperamento e la dedizione alla causa di Modesto, che dopo l’avventura in Sardegna ha vissuto una carriera brillante con le maglie di Monaco e Olympiakos, indossate da protagonista – a più riprese – anche in Champions League.
Francois, torniamo all’estate del 1999. Dal Bastia lei si trasferisce a Cagliari. Cosa ricorda della trattativa che l’ha portata dalla Corsica alla Sardegna?
“Furono i direttori sportivi Luciano Serra e Gianfranco Matteoli a farmi la proposta di venire a giocare a Cagliari. Mi avevano osservato per un po’ di tempo al Bastia, squadra in cui militavo dal 1997, e si erano convinti che potessi ben figurare in Italia. La serie A dell’epoca era il campionato in cui tutti volevano andare, il sogno di ogni calciatore. Di gran lunga il torneo più bello al mondo. Così nell’estate del 1999, con l’avallo del presidente Cellino, cambiai Isola: ricordo che faceva caldissimo, un caldo più intenso rispetto a quello a cui ero abituato in Corsica. Facemmo il ritiro ad Asiago, un ritiro di ben venti giorni: occorreva prepararsi alla perfezione per il campionato che ci aspettava, possibilmente al fresco della montagna.”
Nella stagione 1999-2000 lei disputò il suo unico campionato in serie A con la maglia dei quattro mori. Fu un’annata strana, contraddistinta da una curiosa e persistente crisi di risultati – e dal cambio di allenatore Tabarez-Ulivieri – nonostante in rosa non mancassero interpreti di assoluto spessore. Come si spiega quella retrocessione, arrivata nonostante il valore oggettivo dell’organico?
“Ero molto giovane, e mi affacciavo alla serie A con entusiasmo e curiosità. È vero che disponevamo di uno squadrone pieno di campioni. Eppure finimmo per retrocedere: secondo me mancava la giusta coesione all’interno del gruppo. A scorrere i nomi dei giocatori oggi sembra impossibile che quella squadra sia potuta arrivare penultima: da O’Neill a Oliveira, da Mboma a Macellari, da De Patre a Berretta a Zebina. Non mancavano i fuoriclasse, ma c’è da dire che il livello della serie A era talmente alto - sullo stesso piano, direi, della Premier League attuale - che anche una formazione di assoluto valore poteva incorrere in un’annata storta e finire in B. C’erano almeno sette o otto squadre che potevano vincere lo scudetto, cinque o sei squadre che ambivano all’Europa… e cinque o sei squadre che lottavano per salvarsi, pur con organici che oggi sarebbero considerati di prima qualità.”
Delle quattro stagioni disputate in serie B prima del trasferimento al Monaco qual è quella che ricorda con maggior piacere e soddisfazione?
“Senz’altro quella che ci ha portato in serie A con Zola nel 2004. Avevamo provato a salire anche l’anno precedente, ma con Zola, Esposito, Suazo e Langella eravamo una vera corazzata per quel campionato di serie B. A partire da gennaio, con l’arrivo di Reja, abbiamo cominciato a volare e non ce n’è stato più per nessuno. Abbiamo vinto il torneo a pari punti col Palermo di Luca Toni. Eravamo competitivi e attrezzati in ogni reparto; non a caso poi quella squadra l’anno seguente, dopo la mia partenza al Monaco, si è salvata con grande facilità in una serie A sempre molto agguerrita.”
A suo avviso cosa non aveva funzionato con Ventura nella prima parte di quel campionato? Come è intervenuto poi Reja per risistemare le cose e traghettare la nave trionfalmente in serie A?
“Ventura era un mister che faceva un calcio particolare. Era un insegnante, un teorico del gioco. Un tattico molto preparato ed esigente. Probabilmente noi non siamo riusciti a recepire fino in fondo i suoi concetti e ad applicarli al meglio in campo. Quando è arrivato Reja ha fatto poche cose, semplici ma efficaci: ha schierato i giocatori nei ruoli in cui potevano sfruttare al massimo le loro caratteristiche, e ha posto le basi per un 4-3-3 che ci ha accompagnato fino alla fine della stagione.
Con Reja Suazo partiva dalla fascia sinistra per poi accentrarsi, Esposito stava largo a destra e Zola fungeva da falso nove, inserendosi a concludere l’azione grazie agli spazi aperti da Suazo ed Esposito. In pochi ci hanno fatto caso, ma Reja è stato uno dei primi a giocare senza un centravanti di ruolo. Schema che avrebbe poi ripreso, primo fra tutti, il grande Barcellona di Messi e Guardiola.
Noi abbiamo trovato la quadratura del cerchio così, con un modulo che non dava punti di riferimento agli avversari e li sorprendeva con i continui cambi di posizione e con gli inserimenti a turno in area di rigore degli attaccanti.”
Francois, un suo commento sul ritorno del Cagliari di Ranieri in massima divisione. Lei ha seguito i playoff?
“Ho sempre seguito il Cagliari dopo la mia partenza dall’Isola. È grazie al Cagliari se ho potuto fare la carriera che ho fatto, arrivando fino alla Champions League. Per me la Sardegna è come una seconda casa. Ovviamente non potevo non guardare i playoff, che sono stati emozionanti e hanno riportato l’Isola dove merita di stare. I rossoblù hanno fatto benissimo dall’arrivo di Ranieri, e personalmente sono davvero contento di ritrovarli in serie A. Questa squadra riunisce un intero popolo, dentro e fuori dai confini regionali, che la tifa con grande fierezza. Io ho due figli che sono, anche loro, un po’ sardi e tifano per il Cagliari. E poi la Corsica e la Sardegna hanno storie simili: entrambe sono terre orgogliose che amano profondamente la loro squadra del cuore. Ci sarà sempre un ponte che mi legherà idealmente a questa splendida Isola.”