Esclusiva TC - Renato Copparoni si racconta: "Quella volta che Tiddia..."

Esclusiva TC - Renato Copparoni si racconta: "Quella volta che Tiddia..."
© foto di Corriere dello Sport-Stadio
venerdì 19 novembre 2010, 10:00Primo piano
di Matteo Sechi
Tra passato e presente, due chiacchiere con l'ex portiere di Cagliari, Torino e Verona

Il suo passaggio al Cagliari, nel 1969, fu conseguenza di circostanze particolari. Mario Tiddia, allenatore delle giovanili del Cagliari, rimase imbottigliato nel traffico e si trovò costretto a fermarsi a Sarroch dove assistette alla partita in cui il giovanissimo Renato difendeva la porta della Monreale. Scoccò la scintilla. Renato Copparoni, classe 1952, dalla Seconda Categoria alla Coppa Italia con il Cagliari. Non aveva ancora diciassette anni. Fu l’inizio di una carriera brillante, ma per certi versi non totalmente sfruttata. Colpa dei tempi, di un calcio diverso, in cui le società potevano soffocare le ambizioni di un calciatore. Dalla gioia dello storico scudetto del Cagliari, vissuto con le sue “figurine dell’albo Panini”, all’ultima stagione agonistica nel Verona, stagione 1987-88. In mezzo l’esordio in Seria A con il Cagliari nel 1973, due campionati da titolare in Serie B, il passaggio al Torino di Radice nel 1978, tanti anni in panchina, una laurea in Scienze Politiche, lo storico rigore parato a Maradona e il rimpianto di un trasferimento mancato all’Inter di Trapattoni.Tuttocagliari l'ha contattato e lui gentilmente si è concesso.

Il "suo" calcio e quello d'oggi. Quali differenze nota?
"Il calcio negli ultimi 10 anni è sostanzialmente cambiato rispetto ai miei tempi, in quanto una preparazione fisica più costante nel corso degli allenamenti, aggiunta ad un esasperato lavoro tattico, ha comportato una minore preparazione tecnica di base. Ciò che si evidenzia in questo calcio moderno rispetto al “nostro”, è la riduzione degli spazi e dei tempi. Si corre di più, il calcio è più veloce, a volte anche spettacolare, ma se lo analizziamo fino in fondo, notiamo che la maggior parte dei calciatori presentano delle carenze tecniche notevoli. Ciò è appunto dato dal fatto che anche nei settori giovanili non esiste più l’insegnamento tecnico".

Sono alle spalle gli anni del doppio campionato, quello per il titolo e quello per la salvezza? Che direzione si sta prendendo, a suo avviso?
"Il calcio, visto oggi, è un pallone che si sta sgonfiando, soprattutto per le “piccole” società che hanno difficoltà a sopravvivere e quindi se non si prendono decisioni in merito, e già lo si intravede, ci saranno 3-4 squadre che lotteranno per lo scudetto e tutte le altre saranno sullo stesso piano e si scanneranno per un posticino in Europa League e per non retrocedere".

Lei ha vissuto dall’interno le stagioni entusiasmanti del Grande Cagliari. È d’accordo nel ritenere che quelle vittorie, in Sardegna, abbiano oltrepassato il fattore sportivo e si siano propagate in una più generale revanche sociale per l'intera regione? Si era consapevoli di "fare" la storia?
"Sicuramente quella vittoria è andata oltre l’aspetto sportivo, è stata - e lo è ancora - una rivalsa anche sociale per una terra a cui non venivano riconosciuti i propri diritti. La consapevolezza di essere entrati nella storia e del significato profondamente sociale che questa vittoria ha avuto, la si è percepita dopo, quando andavi in giro per l’Italia e all’estero incontrando gli emigrati sardi. Questo ci ha inorgoglito ancora di più e abbiamo capito di avere compiuto davvero un’impresa".

Cosa resta oggi di quella vittoria? In che modo oggi si potrebbe valorizzare e rievocare il ricordo di quell’impresa?
"Resta una immagine indelebile che è scolpita nel cuore di tutti i sardi e si può vedere andando in giro per la Sardegna, e non solo, che nei locali è ancora appesa la foto del Grande Cagliari. Penso che valorizzarla oramai lo si è fatto in tanti modi, così come ricordarla, infatti si è fatta la festa per i 30 anni e i 40 dello scudetto, se poi arriveremo anche ai 50 e 60 saremo tutti contenti di festeggiarla perché vorrà dire che ci siamo ancora".

A sedici anni dalla Seconda Categoria al Cagliari di Riva, Domenghini, Cera. Era il 1969. Che impatto?
"L’impatto è stato, per certi versi, traumatico, psicologicamente parlando, perché avevo ancora le figurine sull’albo Panini del campionato appena concluso e ritrovarmi, nel settembre del 1969, a tavola prima e negli spogliatoi dopo con questi campioni, beh, è stata una fortissima emozione".

In che modo il Cagliari si accorse di lei?
"È stato sicuramente un colpo di fortuna, quella domenica di maggio del 1969. Giocavo con la Monreale, squadra di 2ª Categoria, a Sarroch, paese di Mario Tiddia, il quale si stava recando a Cagliari per assistere alla partita del Cagliari, quando, trovato lungo la strada un incidente che gli fece perdere molto tempo, decise di ritornare al suo paese ed assistere la partita in cui giocavo. Gli feci una buona impressione e così chiese i miei dati anagrafici e dopo una settimana feci il provino con il Cagliari di Scopigno. Andò bene, ma poi ci furono dei problemi di soldi con la Monreale ma lui mi disse di stare tranquillo perché se il Cagliari non mi avesse acquistato, avrebbe comprato lui il mio cartellino e mi avrebbe portato a Brescia, all'epoca allenata da Silvestri, Sandokan, ex allenatore del Cagliari. Per fortuna, su insistenze di Tiddia, alla fine il Cagliari mi acquistò. Devo tutto al grande Mario Tiddia che rimarrà  sempre nel mio cuore".

Quanto ha giovato per il giovane Copparoni avere davanti, come maestri, due fuoriclasse come Albertosi e Reginato?
"Certamente la possibilità di potermi allenare con due grandi portieri per me è stata una fortuna in quanto ho potuto “rubare” quei segreti di cui il ruolo del portiere ha bisogno e poi i consigli che mi davano per correggere i difetti, che un giovane come me poteva avere, mi aiutavano a velocizzarne la correzione".

Il ricordo più bello di quegli anni.
"Sicuramente quando ho esordito in serie A con il Cagliari, squadra della mia Regione".

Dopo due stagioni da titolare in Serie B la decisione di lasciare Cagliari. Era finita un’epoca?
"No, perché il Cagliari l’ho portato, e tuttora lo porto, nel cuore; semplicemente c’eravamo io e Corti, due portieri validi che continuavano a fare la staffetta, così la società decise di metterci entrambi sul mercato, anche perché aveva necessità di soldi, e chi di noi due avesse avuto una richiesta importante sarebbe stato ceduto. Per me si fece avanti il Torino di Gigi Radice e così lasciai a malincuore la mia terra e la mia squadra".

A Torino, per l'appunto, la sua militanza più lunga. Una città nella quale, come ha più volte dichiarato, lei si è trovato benissimo e ancora oggi viene ricordato con piacere dai tifosi, nonostante abbia ricoperto prevalentemente il ruolo di secondo portiere. Ha qualche rimpianto per la sua carriera, oppure la sua fu una scelta consapevole e necessaria per completare gli studi universitari?
"Torino è stata per me una tappa fondamentale. In questa città sono maturato, ho conseguito la laurea in Scienze Politiche, è vero; forse sono stato un po’ penalizzato, ma all’epoca non c’era la legge Bosman, per cui dovevi accettare le scelte o smettevi di giocare. Però ho affrontato questa professione con senso di grande responsabilità e di rispetto verso tutti, tant’è che ancora oggi i tifosi si ricordano di me e della mia grande professionalità".

Lei, è noto, fu il primo portiere in Italia a parare un rigore a Maradona. Ci racconti...
"La domenica che affrontammo il Napoli, nel preparare mentalmente la partita, studiando le caratteristiche, soprattutto degli attaccanti, ho pensato anche all’eventualità di un rigore e a come Maradona li calciasse. Frugando nella mente, mi ero ricordato di un rigore calciato a Zenga, il quale si mosse con anticipo e venne spiazzato da Maradona, così pensai, se capita un rigore io sto fermo, tanto è…Maradona. Capitò, stetti fermo e il resto è…storia".

Nell’estate del 1986 la cercò Trapattoni per fare il secondo di Zenga. Le fu offerto un contratto quadriennale. Radice si oppose, garantendole il posto nel Torino. Quell’Inter nel giro di quattro anni vinse Scudetto e Coppa Uefa, mentre Radice non mantenne la promessa. Una beffa...
"Certamente questa è una brutta pagina che vorrei cancellare, ma non posso. Sì, Trapattoni mi avrebbe voluto all’Inter, sarei anche andato ma le prospettive che Radice mi proponeva restando a Torino erano allettanti: titolare e, finita la carriera, collaboratore nel suo staff. Così decisi di restare, ma fu una presa in giro. E l’anno dopo passai al Verona di Bagnoli".

Passiamo al Cagliari di oggi. Secondo lei cosa manca alla squadra per stabilizzarsi tra le prime dieci e lottare per un posto in Europa? Davvero, come sostiene Cellino, la costruzione del nuovo stadio darà il via alla svolta, oppure serve dell’altro?
"Come detto precedentemente, il Cagliari rientra in quel lotto di squadre che possono ritagliarsi un posticino in Europa oppure rischiare di retrocedere perché i valori tecnici si equivalgono. Certo il presidente, a mio avviso, potrebbe fare di più se effettivamente volesse cercare di entrare in Europa e non sperare sempre nella fortuna. Rinforzare il centrocampo che ormai sembra un po’ scoppiato, Cossu non può cantare e portare la croce contemporaneamente, perché un trequartista, se deve restare lucido, non può rientrare in difesa e a centrocampo continuamente per coprire e poi ripartire, tutto ciò è sfiancante e il rendimento scende. Il modulo che Bisoli adottava al Cesena non prevedeva il trequartista, era un 4-4-2 classico. Ma come si fa a lasciare Cossu fuori? Poi, richiamare in porta Marchetti, eccellente portiere degli ultimi due campionati. Lo stadio ben venga, ma ho dei seri dubbi per la sua realizzazione e comunque non basterebbe, sarebbe solo un palliativo".

Un giudizio su questo primo scorcio di stagione. La squadra ha deluso o questa è la sua reale dimensione?
"È un Cagliari affetto da pareggite, troppi passaggi laterali, gioca per vie orizzontali e non verticali: ne conseguono una lenta manovra di attacco ma in compenso una buona copertura a centrocampo, la chiusura degli spazi e di conseguenza pochi goal subiti ma anche pochi realizzati. Sintesi: pareggio". ( l'intervista è precedente alla doppia sconfitta casalinga, con Napoli e Genoa, e all'esonero di Bisoli, ndr)

Che idea si è fatto del caso Marchetti?
"Marchetti è stato penalizzato e punito per non aver commesso niente. A mio parere ci sono vicende che coinvolgono la Società e il procuratore del portiere e si è trovata la scusa della contestazione di 50 tifosi (organizzata?) per non far giocare il ragazzo. Altrimenti come si sarebbe giustificata l’esclusione di Marchetti agli occhi dei compagni, dei tifosi e della stampa? E poi, se effettivamente ci fosse stata questa rottura tra parte dei tifosi e Marchetti, perché la Società non è intervenuta per ricucire lo strappo, come avviene negli altri club? La verità è che ci sono altri interessi e così non si fa il bene della squadra".

Cosa fa oggi Renato Copparoni?
"Lavoro per la CPL Concordia che tramite la sua subalterna Fontenergia ha vinto diverse gare d’appalto in Sardegna nei bacini in cui si dovranno realizzare le reti per il metano quando arriverà dall’Algeria. Io ricopro il ruolo di Responsabile Commerciale per la Sardegna. La passione per il calcio, però, non l’ho abbandonata e quindi alleno una squadra di terza categoria, la Nuova Italpiombo, di San Gavino, mio paese natio e continuo a divertirmi".