UN MIRTO CON... EMILIANO MELIS

UN MIRTO CON... EMILIANO MELIS
lunedì 26 giugno 2023, 01:20Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Un ragazzino cresciuto a Selargius col mito di Gigi Riva e del Cagliari di Ranieri che fece il doppio salto dalla C alla A sognava con tutto sé stesso di vestire, un giorno, la maglia rossoblù. E di segnare un gol sotto la curva in quello stadio che aveva frequentato fin da bambino, su quel terreno di gioco che era stato lo scrigno di tutte le sue speranze e di tutte le sue chimere.

Emiliano Melis, classe 1979, ha trasformato la sua dolcissima utopia in realtà all’alba del 2000, quando Renzo Ulivieri l’ha fatto debuttare con la divisa dei quattro mori. Ma ha fatto anche di più: di gol ne ha segnati complessivamente sei, tra il 2000 e il 2003, e ha contribuito a illuminare l’attacco rossoblù con le sue serpentine e le sue intuizioni da trequartista puro, tutto tecnica e fantasia.

Il sogno è durato tre anni, poi si è convertito in un lungo peregrinare per la Sardegna e per l’Italia in cerca di fortuna, senza più toccare le vette accarezzate con la maglia della squadra della sua città.

Oggi Emiliano, a 44 anni, sorride ripensando a quella meravigliosa avventura. E il rammarico per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato lascia lo spazio alla gioia e alla soddisfazione per ciò che invece è successo. Perché il genio della lampada, alla fine, ha realizzato il più grande desiderio di quel bambino di Selargius, che voleva gonfiare la rete ed esultare davanti alla sua gente.

Emiliano, che ricordi conserva dei suoi trascorsi al Cagliari, a cavallo dei primi anni 2000?  

“Debuttare con quella maglia è stata una soddisfazione enorme. Io sono cresciuto alla scuola calcio di Don Orione a Selargius, poi a 11 anni sono passato al Cagliari. Dunque ho fatto tutta la trafila che mi ha portato dalle giovanili all’esordio in massima divisione. È stato Renzo Ulivieri a regalarmi questa gioia, in un periodo storico in cui, tra l’altro, tutti i più grandi calciatori del mondo giocavano in serie A. Ho avuto la possibilità di calcare il terreno degli stadi più importanti d’Italia e di fare gol sotto la curva Nord al Sant’Elia, lo stadio del mio cuore.

Purtroppo l’avventura non è durata molti anni, perché ho fatto una stagione in A e poi tre annate in serie B, fino al 2003. Ma di quel periodo ho solo bei ricordi: è stata un’esperienza unica ed emozionante.”

A suo avviso cosa invece è mancato affinché questa esperienza così elettrizzante si prolungasse e proseguisse anche gli anni successivi, che avrebbero visto il ritorno in serie A sotto il segno di Gianfranco Zola? Lei era un giocatore tecnicamente molto dotato e talentuoso.

“È difficile dare una risposta. Le ragioni possono essere molteplici. Magari qualche scelta sbagliata, o semplicemente degli episodi che hanno allontanato la mia strada da quella del Cagliari. Capita nel corso di una carriera, che è fatta proprio di momenti e di situazioni molto diverse tra di loro.”

Il suo anno in serie A: stagione 1999-2000. Lei fece diverse presenze, ma alla squadra andò male: fu retrocessione e ancora oggi, data la qualità dei calciatori che componevano quella rosa, si fa fatica a darsi una spiegazione.

“Certe annate nascono sotto il segno sbagliato. Quella stagione iniziammo con Tabarez, che era un grande allenatore, e proseguimmo con Ulivieri, anche lui un tecnico preparatissimo e, tra l’altro, finissimo tattico e stratega. C’erano tutti i presupposti per fare bene, ma non riuscimmo mai a invertire la rotta dopo una partenza deficitaria. Eppure quel Cagliari era pieno di campioni: da O’Neill a Mboma, da Oliveira a Macellari, passando per un centrocampo che annoverava gente del livello di Berretta e De Patre e per una difesa composta da elementi come Villa e Zebina. In più un giovanissimo David Suazo stava cominciando a scalpitare e fare intravedere le sue enormi potenzialità.

Tra l’altro alla fine di quel campionato cinque-sei rossoblù si trasferirono in top club italiani e alcuni di loro, come ad esempio Zebina alla Roma, ottennero anche grandi risultati individuali e di squadra. Segno di quanto alto fosse il livello qualitativo del Cagliari retrocesso. Purtroppo è così: a volte non si crea l’alchimia giusta e annate che sarebbero potute essere molto positive si trasformano inspiegabilmente in degli incubi senza fine. Sono tantissime le componenti che entrano in gioco: gli infortuni, l’aspetto psicologico, le squalifiche in certe partite chiave, un pizzico di buona o di cattiva sorte. Un’infinità di variabili che condizionano una stagione e ne segnano il destino.”

Emiliano, veniamo al Cagliari di oggi, neopromosso in serie A. Cosa si aspetta da questa squadra e quali possono essere le sue prospettive nel massimo campionato?

“Io ho vissuto praticamente da bambino, in curva Nord, l’epopea del Cagliari di Ranieri che infilò due strepitose promozioni consecutive. Di quell’epoca ho dei ricordi clamorosi: il Sant’Elia era sempre pieno e attorno alla squadra c’era un entusiasmo travolgente.

Io credo che, dopo l’impresa compiuta anche quest’anno, Ranieri entri di diritto nel Pantheon delle leggende della storia del Cagliari. Non scomodiamo il mito-Gigi Riva, che rimane il simbolo rossoblù in eterno, ma subito dopo di lui, a ruota, viene proprio Claudio Ranieri. Ha preso la squadra a metà classifica e, creando la chimica giusta tra i calciatori e con l’ambiente circostante, ha fatto il miracolo. Poi è stato assistito anche da un pizzico di fortuna, ovviamente, perché se quel cross di Zappa fosse andato lungo poi l’arbitro avrebbe fischiato tre volte e ora staremmo tutti a fare considerazioni diverse.

Mi auguro che il Cagliari si affidi totalmente al tecnico romano nella costruzione dell’organico e nella campagna acquisti e cessioni, perché la sua esperienza e competenza sarà determinante nella pianificazione della squadra e degli obiettivi futuri.”