UN MIRTO CON... GIANLUCA FESTA

UN MIRTO CON... GIANLUCA FESTATUTTOmercatoWEB.com
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
sabato 13 maggio 2023, 00:00Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Lui Claudio Ranieri lo conosce bene: è stato uno degli alfieri dell’impresa di oltre trent’anni fa, quando col Cagliari allenato dal mister capitolino compì la cavalcata che culminò nel folgorante ritorno in serie A.

Gianluca Festa, pilastro della difesa tanto della banda-Ranieri che dell’”EuroCagliari” di Carletto Mazzone, riavvolge il nastro della memoria e torna indietro ai fasti passati, senza disdegnare un’analisi lucida e appassionata del Cagliari attuale in vista degli spareggi promozione.

Gianluca, iniziamo azzardando un paragone tra il Cagliari di Ranieri in cui giocava lei in B – stagione 1989/90 – e il Cagliari attuale, allenato dallo stesso mister. Punti in comune e differenze più significative tra le due squadre?

“Direi che si tratta di due squadre piuttosto diverse. Noi venivamo da una brillante promozione dalla serie C e lo zoccolo duro della formazione vittoriosa nella precedente stagione era stato confermato in blocco. Erano stati fatti solo alcuni ritocchi in ruoli chiave. A differenza del Cagliari attuale, col quale francamente non vedo molte analogie. L’anello di congiunzione è Ranieri, ovvero il grande valore aggiunto in entrambi i casi. Anche se quest’anno è arrivato a stagione in corso, se i rossoblù hanno la chance di giocarsi la risalita in massima serie gran parte del merito è suo.

Da qualche mese la squadra gioca un calcio più piacevole, più vario e imprevedibile. Questo perché, dopo il rodaggio del girone d’andata sotto la precedente guida tecnica, i giocatori si conoscono meglio e sono cresciuti assieme. Speriamo che si presentino al rendez-vous dei playoff con tutta la forza e l’entusiasmo possibile.”

Secondo lei come è riuscito Ranieri a costruire il miracolo di quella cavalcata dalla C alla A? Qual è stato il suo vero segreto?

“Il segreto è stata la combinazione di più fattori: l’ambiente che ci circondava, davvero ideale per compiere un’impresa del genere, la lungimiranza del presidente Tonino Orrù, il fatto che si fosse partiti senza particolari pressioni e la crescita contemporanea di noi giocatori e dell’allenatore, che all’epoca non aveva grande esperienza alle spalle. Ranieri, nonostante non avesse ancora allenato in piazze ‘pesanti’, si era tuttavia posto fin da subito nei nostri confronti in maniera credibile, dimostrandosi una persona capace e intraprendente. E poi era già avanti rispetto ai tempi: parlava di psicologia sportiva e di ‘team spirit’ quando questi concetti non erano ancora stati universalmente sdoganati. La sua caratteristica principale era la capacità di valorizzare al cento per cento i giocatori, tirando fuori il massimo da ciascuno. Per certi versi è stato un pioniere, un antesignano.”

Tatticamente il tecnico romano punta spesso sul 4-4-2, ma sa adattare il modulo alle esigenze dell’organico. Voi, sotto la guida di Ranieri, con che filosofia scendevate in campo? Che calcio propugnava il mister all’epoca?

“Il calcio di quegli anni era completamente diverso da quello attuale. Tanto per cominciare si giocava a uomo col libero, che da noi era Firicano; davanti a lui c’erano i due marcatori, che eravamo io e Valentini. Insomma, era tutto un altro modo di stare in campo. Senza dimenticare, poi, che il portiere poteva ancora prendere la palla con le mani sui retropassaggi. Cambiava proprio tutta l’impostazione tattica del gioco. Noi comunque cercavamo di sfruttare al meglio le qualità di Lucio Bernardini, il fulcro della manovra, e dei nostri attaccanti, che erano tutti di ottimo livello.  

Poi, ottenuta la promozione in serie A, si è aggiunta gente come Francescoli, Fonseca e Matteoli, alzando ulteriormente il tasso tecnico. E infatti nel campionato 1990-91, dopo un girone d’andata vissuto in grande apnea, abbiamo ottenuto una salvezza splendida e meritatissima grazie a un girone di ritorno spettacolare. Coronando il lavoro della dirigenza e del mister, che avevano progressivamente costruito la squadra nel corso degli anni.

In serie A ci potevamo permettere di schierare quasi sempre due punte, cosa non scontata all’epoca, perché avevamo un centrocampo forte che coniugava qualità e quantità. E noi difensori eravamo molto aggressivi sugli attaccanti avversari: non gli lasciavamo prendere palla, coprivamo bene gli spazi e, anche grazie alla nostra velocità, tappavamo tutti i buchi che si potevano creare per via dell’atteggiamento offensivo della squadra.”

Passiamo al Gianluca Festa allenatore. Lei fece un buon lavoro, nonostante la retrocessione, sulla panchina del Cagliari nel 2015, ottenendo una media punti che, se isolata dal resto del campionato, sarebbe certamente valsa la salvezza. Che ricordo ha di quella esperienza ed è mai stato nuovamente vicino a sedere sulla panchina rossoblù?

“La ricordo come un’avventura bellissima. Da sardo, essendo stato un giocatore rossoblù e prima ancora un grande tifoso del Cagliari, per me sedermi sulla panchina ‘di casa’ è stato fantastico. Un onore e un’emozione. A partire dall’esordio in casa della Fiorentina: vincemmo 3-1 e riaprimmo la corsa salvezza. Alla fine totalizzammo 13 punti in 7 partite, ma non riuscimmo a evitare la retrocessione. D’altronde quando il presidente Giulini mi aveva affidato l’incarico mi aveva espressamente chiesto, visto che le possibilità di mantenere la categoria erano ridotte al lumicino, di chiudere quantomeno dignitosamente il campionato. Cosa che abbiamo fatto.

Non nego di aver coltivato la speranza di essere confermato per l’anno successivo in serie B. Questo non è avvenuto, ma ringrazierò sempre Giulini per avermi consentito di coronare questo sogno. Poi non sono mai più stato avvicinato dal Cagliari. D’altra parte da un po’ di tempo ho intrapreso una strada molto chiara: quella di allenare all’estero. È la via che ho scelto. Poi vediamo cosa succede.”

Il suo Cagliari del 2015 aveva una rosa molto numerosa, ricca di alternative. Non c’era forse un po’ di sovrabbondanza, con la conseguente difficoltà di dare alla squadra un’impronta tattica e un’identità ben precisa?

“Sinceramente quella era una squadra che non sarebbe mai dovuta retrocedere. Sono stati fatti tanti errori, su questo non ci piove. Ma, per qualità tecniche, quel Cagliari valeva senz’altro la serie A. Certo, c’era abbondanza nell’organico: ma, se l’allenatore la sa gestire, l’abbondanza è un punto di forza, non un punto di debolezza. Meglio avere tante scelte che non averne.

Io credo che la squadra sia stata un po’ destabilizzata dai tanti cambi di allenatore, che forse non sono stati sempre fatti al momento giusto.”

Il Cagliari è giunto ai playoff. Quante chance dà ai rossoblù di conquistare la promozione in serie A?

“Io mi auguro che riescano a issarsi al quarto posto. Cosa non semplice, visto che il Südtirol non ha alcuna intenzione di mollare. Ma sarebbe un vantaggio notevole. Anche se non dovessero farcela, gli ingredienti per disputare dei playoff da protagonisti ci sono tutti: allenatore d’esperienza, calciatori d’esperienza, grande pubblico, tradizione e blasone. Il Cagliari è una società che pesa, a livello di ambiente e di prestigio, per cui mi auguro che questo peso si faccia sentire nelle partite decisive. I vari Nandez, Rog, Lapadula e via dicendo devono tirare fuori qualcosa in più e creare un’atmosfera battagliera anche nello spogliatoio, trasmettendo a tutti grinta, determinazione e mentalità vincente. Alimentando quello spirito guerriero che ti spinge a compiere grandi imprese nei momenti cruciali.

D’altra parte lo stesso Ranieri è abituato ai miracoli sportivi, no? Penso alla doppia promozione con noi, certo, ma soprattutto al Leicester. Coronare la sua carriera con un altro capolavoro sarebbe la perfetta ciliegina sulla torta.”