UN MIRTO CON... MARCO NEGRI

UN MIRTO CON... MARCO NEGRITUTTOmercatoWEB.com
martedì 25 luglio 2023, 02:30Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Molto più che un bomber di provincia.

Marco Negri è stato un attaccante di razza purissima, cecchino implacabile degli anni Novanta; globetrotter del pallone, si è affermato tanto in Italia, segnando a raffica in quasi tutti i club in cui ha militato, quanto all’estero, dove ha spopolato con la gloriosa maglia dei Rangers di Glasgow (viaggiando quasi alla spaventosa media di un gol a partita: ben 37 centri in 40 presenze).

La tappa cagliaritana è stata per lui di passaggio, ma anche in Sardegna, seppur impiegato col contagocce, ha timbrato il cartellino: 4 presenze e 2 reti nella stagione della resurrezione (2001-2002) targata Nedo Sonetti, che ha risollevato il muso rossoblù dalla melma fangosa delle sabbie mobili e ha evitato un’umiliante retrocessione in serie C.

Nonostante il brevissimo periodo trascorso nell’Isola, Marco ricorda la sua parentesi sarda con grande affetto e trasporto, “perché percepivamo il calore e la grande passione del pubblico, che nelle partite interne ci trascinava letteralmente: Cagliari è una grande piazza e merita, senza ombra di dubbio, la serie A”.

Marco, cosa ricorda dei pochi mesi spesi in Sardegna, tanto dal punto di vista calcistico quanto da quello ambientale?

“Arrivai a inizio 2002, su richiesta di mister Sonetti che mi aveva allenato anni prima, per rinforzare un Cagliari che, a giudicare dalla classifica, aveva incontrato qualche problema nel girone d’andata del campionato di serie B. Venivo da un’esperienza in Scozia, con i Rangers, che era stata segnata da numerosi infortuni; dopo una breve parentesi a Bologna avevo bisogno di rilanciarmi, di sentirmi nuovamente importante. Per cui accettai l’offerta di rimettermi in gioco in Sardegna.

Una volta arrivato, nonostante la situazione fosse piuttosto difficile realizzai subito che avremmo centrato l’obiettivo. Il gruppo era compatto, i tifosi erano vicini alla squadra e le strutture – penso ad esempio al centro di Assemini – erano davvero di altissimo livello. Non c’era ragione per la quale non dovessimo riuscire a salvarci. Tra l’altro eravamo sempre pronti alla battaglia e in campo non ci risparmiavamo: questo i tifosi lo apprezzavano, e non ci facevano mai mancare il loro sostegno.

Ricordo che in attacco c’era un giovane David Suazo che stava completando il suo processo di maturazione, ma già lasciava intravedere le sue enormi qualità tecnico-atletiche e la velocità supersonica che lo contraddistingueva. Ottenemmo la salvezza con un finale di stagione brillante, al quale personalmente contribuii anch’io con due gol proprio nelle ultime partite.”

Brillante, a dire il vero, fu tutto il girone di ritorno di quel Cagliari. Secondo lei fu proprio l’arrivo al timone della squadra di “capitan Nedo” Sonetti a farvi svoltare sia tatticamente che – soprattutto – psicologicamente?

“Non a caso il mister era chiamato ‘sergente di ferro’. Ricordo degli allenamenti lunghissimi, di due ore e mezza, che terminavano con la partitella in cui bisognava indossare i parastinchi, perché nessuno tirava indietro la gamba. La mentalità era quella, lo spirito era quello. E ce l’aveva trasmesso capitan Nedo.

In effetti disputammo un girone di ritorno col vento in poppa, racimolando tanti punti e togliendoci delle belle soddisfazioni. Avevamo un’ottima forma fisica, e anche quando perdevamo lottavamo fino all’ultimo pallone. Eravamo competitivi contro qualsiasi avversario.”

Forse nella seconda parte della stagione venne fuori il reale valore tecnico di quella squadra, che magari non era all’altezza dei primissimi posti ma certamente non meritava la penultima posizione in classifica con annessa retrocessione in serie C.  

“Faccio alcuni nomi: l’attacco era composto da Cammarata e Suazo più Langella a stagione in corso, a centrocampo c’erano Conti e Abeijon, in difesa Diego Lopez. Disponevamo di una rosa di ottimo livello, che probabilmente era stata costruita con ambizioni di promozione in serie A. Poi ci ritrovammo improvvisamente a dover cambiare programmi e a lottare per un altro obiettivo, ma alla fine ce la cavammo egregiamente. Tra l’altro, secondo me, gettando al contempo le basi tecnico-tattiche, ma anche caratteriali, per quello che sarebbe accaduto due anni più tardi con l’arrivo di Zola, quando la squadra tornò in carrozza nella massima serie. Fu importantissimo restare in serie B in quella stagione, perché quando sprofondi in C poi è tutt’altro che scontato rientrare subito tra i cadetti. La rinascita può rivelarsi un processo lungo e faticoso. E, parliamoci chiaro, fra serie B e serie C - soprattutto la C di quell’epoca - c’è letteralmente un abisso.”

Marco, venendo all’attualità che ne pensa della sorprendente promozione del Cagliari di Ranieri? E soprattutto, anche alla luce dei numerosi errori commessi nel recente passato, dove crede che possa arrivare nel breve-medio periodo?

“Innanzitutto devo dire che sono contentissimo, anche per il modo in cui è arrivata questa promozione. Un calciatore rimane sempre tifoso di tutte le squadre in cui ha militato, e io non faccio eccezione. Anche perché una piazza come Cagliari merita assolutamente la serie A.

Il primo passo era senz’altro quello di confermare l’allenatore: l’abbraccio del gruppo al mister dopo il fischio finale del match di Bari dimostra il peso che ha avuto Ranieri nel raggiungimento di un traguardo così importante. Esattamente come fece Sonetti con noi ventuno anni fa, il tecnico romano ha dato una sterzata decisa alla stagione del Cagliari, permettendogli di svoltare e di cambiare completamente le proprie prospettive.

Ora, secondo me, è il momento di tirare fuori un po’ di sana ambizione. Oggi la serie A, tolti gli squadroni, consente di inserirsi – se si ha una buona rosa, se si parte bene e se si trova il giusto equilibrio tecnico-tattico – tra il nono e il quattordicesimo/quindicesimo posto. Questo aiuta a forgiare la squadra, a porre le basi per il futuro e a valorizzare i giovani talenti che, un domani, potranno attirare l’attenzione delle big e generare delle plusvalenze, fondamentali per consentire alla società di reinvestire sul mercato.   

Un’altra ambizione potrebbe essere quella di vedere qualche giocatore del Cagliari affermarsi al punto da sbarcare in Nazionale: penso alla squadra azzurra ma anche alle selezioni straniere. O, ancora, un obiettivo importante può essere quello di attirare allo stadio tantissimi tifosi e magari, specialmente in casa, fare lo sgambetto a qualche big: un exploit che poi rimane nella mente dei tifosi e pure nel pedigree del calciatore.

Sarà fondamentale partire col piede giusto, per non restare subito invischiati nei bassifondi della graduatoria, e consolidare questa seconda gestione di Ranieri - voglio ripetermi - coltivando un briciolo di ambizione, consci del fatto che lottando e sudando sempre la maglia si possono raggiungere obiettivi anche insperati. Lo merita il pubblico di Cagliari, che mi è rimasto nel cuore: è stato un piacere giocare sotto quella curva che, da ex calciatore posso garantirlo, quando fa sentire il suo calore e il suo tifo indiavolato è un valore aggiunto e una spinta enorme per la squadra.”