UN MIRTO CON... MICHELE FINI

UN MIRTO CON... MICHELE FINITUTTOmercatoWEB.com
mercoledì 28 giugno 2023, 01:00Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Un destro chirurgico e potente, una visione di gioco di livello superiore, un’invidiabile duttilità tattica e un profondo senso di appartenenza. Michele Fini, nato a Sorso, ha girato mezza Italia prima di tornare a casa, nel 2007, indossando finalmente la maglia del Cagliari e onorandola alla grande, in due stagioni memorabili per i colori rossoblù. Prima la salvezza fantascientifica con Ballardini nel 2008, poi la cavalcata alle soglie dell’Europa con Allegri l’anno successivo.

Minimo comune denominatore: un perno del centrocampo e un assist-man strepitoso come Fini, in grado di mandare in rete per ben 13 volte, nel campionato 2008-2009, i compagni (primatista assoluto in questa speciale classifica).

Sessantasei presenze e sei reti con la maglia dei quattro mori, Fini ha poi intrapreso la carriera di allenatore: sbocco quasi obbligato per un calciatore della sua sagacia e intelligenza tattica.

Michele, dopo un anno nel limbo della cadetteria il Cagliari è tornato in serie A: da ex rossoblù, ma anche da allenatore, come ha visto la squadra negli spareggi-promozione?

“Mi è sembrato che il Cagliari avesse più voglia, più fame, più determinazione rispetto alle altre squadre arrivate ai playoff. A quei livelli la differenza la fa la motivazione, e i rossoblù ne avevano da vendere. Al San Nicola hanno riscattato in pieno, contro il Bari, un’andata in Sardegna disputata non al meglio delle proprie possibilità, sfoderando una prestazione importante e soprattutto di grande carattere, davanti a sessantamila tifosi baresi. Per questo motivo credo che la promozione in serie A sia stata pienamente meritata.”

Secondo lei a cosa va attribuita invece la scarsa verve della finale d’andata all’Unipol Domus? Le cose sembravano essersi messe al meglio dopo il gol iniziale di Lapadula, ma poi la squadra è parsa quasi frenata, inibita, subendo l’assalto dei biancorossi.

“Il Cagliari era condizionato dalla necessità assoluta di vincere in casa, per andare poi a Bari e fare un certo tipo di partita. Ma alla fine io penso che il pareggio dei pugliesi, giunto al 95’ su rigore, abbia cambiato le dinamiche della gara di ritorno influenzando negativamente la squadra di Mignani, che avendo a disposizione due risultati su tre ha impostato una partita attendista, giocata col freno a mano tirato. E quando scendi in campo con l’obiettivo di pareggiare finisci sempre per pagare dazio, perché sei trattenuto, irrigidito. Non sfrutti appieno le tue potenzialità.

Tornando al match d’andata, è vero che il Cagliari all’Unipol Domus è partito lancia in resta trovando subito il vantaggio, ma poi sono venute fuori le qualità del Bari e gli uomini di Ranieri, sentendosi alle corde, hanno preferito speculare sul gol di Lapadula per mantenere l’1-0. Per questo non hanno messo in mostra quel gioco arioso e quella voglia di fare la partita che si sono visti invece al San Nicola.”

Parma e Bari, apparentemente stessa dinamica e stesso copione: gara d’andata in casa giocata in modo non troppo convincente (fatta salva la ripresa d’assalto e d’orgoglio contro gli emiliani), gara di ritorno in trasferta approcciata molto meglio e condotta con brillantezza. Il Cagliari è diventato una squadra da trasferta?

“Difficile dirlo. In gare di questo genere, praticamente a eliminazione diretta, diventa determinante la componente emotiva. Non hai la possibilità di sbagliare, ogni pallone pesa come un macigno, non ci sono margini di errore come in campionato, dove magari puoi recuperare nella partita successiva. Ciascuna giocata può rappresentare la vita o la morte. Sei costretto a prenderti enormi responsabilità, e magari non tutti reggono la pressione.

Per questi motivi faccio fatica ad esprimere dei giudizi: sono partite che sfuggono a principi logici e razionali. L’aspetto emotivo, gestito individualmente in modo molto diverso da ciascun giocatore, segna la linea di demarcazione tra il trionfo e la disperazione, tra l’impresa e la disfatta. Ma ribadisco che il Cagliari, tra tutte le squadre approdate agli spareggi, mi è sembrata la formazione più affiatata, anche a livello di gruppo, e più centrata, più focalizzata sull’obiettivo.”

Dopo il tripudio, ora è tempo di calciomercato. Come si deve muovere il Cagliari per attrezzarsi in vista della serie A? Il dilemma è: rivoluzionare o ritoccare? Sempre, ovviamente, tenendo presente il gran finale disputato nel torneo cadetto.

“Per me la cosa più importante in assoluto è mettere bene a fuoco l’obiettivo che si vuole raggiungere. Non so che programmi abbiano in società, ma credo che il traguardo primario da inseguire sia giocoforza il mantenimento della categoria: per tutta la Sardegna avere una squadra in serie A è fondamentale non solo dal punto di vista sportivo, ma anche a livello sociale e per l’immagine dell’Isola da veicolare all’esterno.

Sono convinto che i rinforzi che arriveranno saranno tutti all’altezza di un campionato condotto per salvarsi il più rapidamente possibile, con l’ambizione magari di provare ad alzare un po’ l’asticella una volta centrato l’obiettivo principale. Chi può dirlo? Certe volte le stagioni prendono una piega positiva e, pur essendo partiti con in testa un determinato percorso, si finisce per inseguire qualcosa di più grande. È quello che accadde a noi tanti anni fa con Allegri: all’inizio del campionato non pensavamo minimamente di poter lottare per un posto in Europa. Poi le cose iniziarono a girare per il meglio, la squadra funzionava come un orologio svizzero e ci ritrovammo nei quartieri alti della graduatoria.

Oggi il Cagliari deve focalizzarsi sulla salvezza, senza precludersi la possibilità di alzare il tiro delle proprie ambizioni in un secondo momento. Che è poi ciò che io, da tifoso, dentro di me mi auguro.”