UN MIRTO CON... ANTONIO CRINITI

UN MIRTO CON... ANTONIO CRINITITUTTOmercatoWEB.com
© foto di Gilberto Poggi/TuttoLegaPro.com
mercoledì 7 giugno 2023, 01:06Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Estroso giocoliere capace di invenzioni estemporanee e di guizzi geniali, dotato di tecnica sopraffina e di un dribbling secco ed elegante, nonostante facesse fatica a ritagliarsi un posto da titolare – chiuso da satanassi che rispondevano ai nomi di Francescoli, Fonseca, Oliveira e Dely Valdes – suscitava grande simpatia e consenso tra i tifosi.

Antonio Criniti, nato a Pinerolo ma di sangue calabrese, viene tuttora ricordato per la sua capacità di incidere a gara in corso, subentrando dalla panchina e creando scompiglio nelle difese avversarie con la sua vivacità e mobilità, coniugate a un opportunismo che gli consentiva di trovarsi spesso al posto giusto al momento giusto.

Per lui tre stagioni a Cagliari, dal 1991 al 1994, e una valigia piena di ricordi fantastici. A partire dal gol della grande illusione, quello segnato a Walter Zenga nella semifinale d’andata di Coppa Uefa.

Antonio, lei arrivò in Sardegna giovanissimo, dopo quattro anni al Catanzaro.

“Fu la mia prima avventura tra i grandi del calcio. Venivo dalla serie C e da qualche partita disputata in serie B, ed ero un ragazzino. Davanti a me avevo dei mostri sacri che era difficile sopravanzare nelle gerarchie dell’allenatore. Non ero un vero e proprio attaccante, ma più un trequartista. Tuttavia, con Matteoli in rosa si poteva giocare molto poco, a quei tempi… Poi si è aggiunto anche Allegri in quel ruolo.”

Campionato 1992-93: il Cagliari torna dopo tanti anni in Europa, e lei dà il suo prezioso contributo alla cavalcata trionfale di una squadra spumeggiante.

“Eravamo molto forti e anche molto bene allenati. Mazzone ci trasmetteva una ‘cazzimma’ incredibile: tirava fuori da ognuno di noi il centodieci per cento. Secondo me quell’anno eravamo anche superiori, dal punto di vista qualitativo, al Cagliari che la stagione successiva sfiorò la vittoria della Coppa Uefa.”

A proposito dell’avventura europea del 1993-94: quali erano i segreti di una squadra partita col solo obiettivo di ben figurare e poi diventata improvvisamente grande protagonista della competizione?

“Era un Cagliari molto compatto e quadrato, un gruppo di calciatori e di ragazzi straordinari. Allenati, non bisogna dimenticarlo, dall’ottimo Bruno Giorgi, un grande gestore di uomini. Questo aspetto faceva la differenza: l’unione di intenti e l’armonia che regnava tra di noi. Cosa che in tanti altri Cagliari degli anni successivi, devo essere sincero, non ho visto.

Io purtroppo in quella stagione ero spesso infortunato, e in campionato giocai meno rispetto agli anni precedenti. In compenso mi rifeci in Coppa, dove fui diverse volte protagonista e segnai anche un gol all’Inter in semifinale.”

Ecco, veniamo proprio a quel gol, che incendiò il Sant’Elia e contribuì a regalare a tutti i tifosi rossoblù una meravigliosa chimera… Cosa ricorda di quei momenti, cosa provò dopo aver bucato Walter Zenga sotto la curva Nord?

“Devo dire che quel gol per me è una grande gioia e un grande rimpianto. Avrebbe avuto un peso specifico ben diverso se poi a San Siro non avessimo fatto quella figuraccia… Se ci avesse portato in finale ci avrebbe spianato la strada verso la vittoria, perché il Salisburgo l’avremmo battuto senza ombra di dubbio: eravamo molto più forti degli austriaci.

Mi è rimasta tanta soddisfazione – per un ragazzino un gol in una semifinale europea è comunque un exploit memorabile – e tanta amarezza. Quella rete, pur bellissima, non ha prodotto il risultato che speravo. Ovvero farci arrivare almeno in finale.”

Antonio, secondo lei perché? Perché quella prestazione così scialba e dimessa a San Siro con l’Inter? Perché non riusciste ad esprimervi come avevate fatto per tutto il resto della competizione?

“La verità è che siamo arrivati cotti alla semifinale di ritorno. Mettici poi il fatto che non avevamo una panchina lunga come quella dell’Inter, che non eravamo abituati a certe serate europee come l’Inter… e che ci siamo trovati di fronte a un muro di ottantamila tifosi avversari che, in qualche modo, ci ha intimidito. Nell’Inter poi in quella occasione rientrò un giocatore come Berti, che fece una gara straordinaria. A noi mancò, oltre allo spirito giusto, anche l’esperienza, la dimensione internazionale. L’Inter era abituata a gestire notti come quella.”

Segue ancora il Cagliari? Come giudica il campionato di serie B concluso al quinto posto e, soprattutto, secondo lei in che condizioni arriva la squadra all’appuntamento decisivo dei playoff contro il Bari?

“Il Cagliari oggi ha una garanzia assoluta che ha un nome e un cognome: Claudio Ranieri. Un tecnico fantastico sia sul piano tattico che sotto il profilo della gestione del gruppo e della capacità di trasmettere grinta e determinazione. La squadra ha svoltato radicalmente rispetto alla gestione Liverani, contraddistinta da una certa remissività e da un rendimento incostante. Tra l’altro Fabio è un mio caro amico, ma in quel momento oggettivamente c’era bisogno di cambiare. E la scelta è caduta sul migliore allenatore che c’era in circolazione.”

Quante chance assegna ai rossoblù contro il Bari? Si parte da 50 e 50 oppure il ritorno da disputare in casa potrebbe essere un vantaggio per i pugliesi?

“In queste sfide giocare prima in casa o in trasferta non incide più di tanto. Come non conta il piazzamento nella stagione regolare. I playoff sono partite dal sapore diverso: secondo me vince sempre chi ha più benzina in corpo. E chi sa gestire meglio le emozioni, visto che la posta in palio è altissima.

Non voglio dire nulla di più. Non per altro, ma perché altrimenti, come dite voi, potrei essere tacciato di essere una ‘cugurra’ (ride, ndR). Per scaramanzia non mi esprimo. Dico solo che Ranieri è una certezza assoluta, ed è il faro di questa squadra. Il timoniere che indica la rotta.”