UN MIRTO CON... COMUNARDO NICCOLAI

UN MIRTO CON... COMUNARDO NICCOLAITUTTOmercatoWEB.com
venerdì 30 giugno 2023, 00:00Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Quando il destino, testardo, ti si accanisce contro finisce che un’etichetta, per quanto ingiusta o riduttiva, ti rimanga appiccicata addosso per tutta la vita. Incurante delle altre tue virtù, dei tuoi successi, dei tuoi meriti. Così sei stato bollato e così vieni ricordato.

Ma Comunardo Niccolai, chirurgico stopper classe 1946 proveniente dalla profonda provincia pistoiese e sbarcato in Sardegna, alla corte della Torres, alla tenera età di diciassette anni, non era affatto – non è mai stato – solo l’indiscusso principe degli autogol.

È vero che ne ha segnati parecchi in carriera, ma meno di quanti il mito tramanda. Soprattutto, ne ha segnati di molto belli: dei capolavori estetico-balistici in pose plastiche che disegnavano opere pittoriche perfette, come in un dipinto rinascimentale. Solo, purtroppo, nella porta sbagliata.

Memorabile l’imperioso stacco aereo col quale impallinò il proprio portiere Albertosi in un piovoso e plumbeo pomeriggio torinese, nel match contro la Juventus che avrebbe di fatto marchiato a fuoco il tricolore sul petto dei rossoblù grazie a un salvifico 2-2.

Un’autorete qua, un’autorete là e la leggenda cominciò a cavalcare. Come sempre, esagerando ed estremizzando la portata di un vezzo che non divenne mai un’abitudine, quanto piuttosto un estemporaneo e sgradito compagno di viaggio.

Ma Comunardo, si diceva, era prima di tutto un difensore moderno, uno stopper affidabile ed elegante dotato di un eccellente anticipo e di un ottimo senso della posizione. Un giocatore intelligente, insomma, cui la sorte riservò in dote la fama odiosamata di artista dell’autorete. Il che non gli impedì tuttavia di costruirsi una carriera di primissimo piano, spesa quasi tutta in Sardegna (una stagione alla Torres, ben dodici anni al Cagliari), e di consacrarsi come uno dei Giganti che portarono l’Isola sul tetto d’Italia, sdoganandola agli occhi di un Paese che la snobbava o, addirittura, la denigrava, asservendola ai consueti - consunti - luoghi comuni.

Comunardo, come riassumerebbe – con un solo flash, una sola immagine – i suoi anni trascorsi con la maglia del Cagliari, di cui è diventato un simbolo e una leggenda?

“Li riassumerei con un aggettivo: fantastici. Sono stato sempre benissimo: i sardi sono persone squisite, impagabili. Conservo nel mio cuore un ricordo splendido di Cagliari e della Sardegna.”

Qual era il segreto del grande Cagliari di cui lei ha fatto parte, la magia che vi consentì di volare così in alto?

“Aveva un nome e un cognome: Manlio Scopigno. Era un tecnico molto serio e preparato, che faceva le cose sempre a regola d’arte. Quando parlava lui stavamo tutti zitti, nessuno fiatava. Non c’era contraddittorio. Ma assieme abbiamo fatto faville: l’anno dello Scudetto è stato indimenticabile. Me lo porterò appresso per tutta la mia vita.

Dal punto di vista tattico Manlio era già avanti per l’epoca: aveva il chiodo fisso di attaccare sempre. Lui diceva: ‘Per difendersi c’è tempo: prima attacchiamo’. Ciononostante l’anno dello Scudetto subimmo appena 11 reti, di cui due autogol. Record tuttora imbattuto in serie A”.

Lei non fa parte di quella folta schiera di giocatori che, dopo l’avventura in rossoblù, hanno deciso di stabilirsi definitivamente in Sardegna. A cosa fu dovuta la scelta di tornare a casa, nella sua Toscana?

“Io sono uno che non ha mai amato troppo spostarsi con l’aereo e con la nave: i viaggi lunghi di quel tipo mi facevano un po’ paura. Per questo motivo ho deciso di rientrare in Toscana. Ma tengo a dire una cosa: come si vive a Cagliari o a Sassari, dove sono stato quando ho indossato la maglia della Torres, credo non si viva da nessun’altra parte. Si sta meravigliosamente bene, e se non fosse stato per la distanza dalla Toscana e per la necessità di viaggiare spesso in nave o in aereo…”

Comunardo, come tutta l’Italia sa lei è ricordato per la sua capacità di realizzare autoreti estremamente pregevoli e spettacolari. Ma ci si dimentica spesso che, con la maglia del Cagliari, ha segnato anche qualche gol nella porta giusta…

“Ah, ma quelli non contano! Nel mio caso contano solo gli autogol. È così e basta. La verità è che io soffrivo quando sui giornali si sottolineavano queste cose, ma poi ci ho fatto il callo. Il fastidio mi è passato, e oggi non ci penso neanche più.”

Il Cagliari è appena tornato in serie A, dopo una rincorsa incredibile sotto la guida di Claudio Ranieri. Lei ha seguito il percorso rocambolesco e avventuroso dei rossoblù?

“Purtroppo no. È da tanto tempo che non torno in Sardegna e, se non me lo fanno vedere in televisione, non ho occasione di seguire il Cagliari. Però faccio un augurio sincero alla squadra, al presidente e a tutto il popolo rossoblù: che si rimanga ancora per tanti anni in serie A. Quello, e non un altro, è il posto giusto del Cagliari”.