UN MIRTO CON... EDY REJA

UN MIRTO CON... EDY REJATUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico Gaetano
sabato 15 luglio 2023, 00:52Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Una linea di demarcazione tra un “prima e un dopo”. Per entrambi. Per Edy Reja lo snodo cruciale della carriera, che l’ha portato poi ad allenare con successo - solo per fare due esempi - il Napoli e la Lazio. Per il Cagliari il sospirato turning point di un periodo travagliato, contrassegnato da anonimi campionati di serie B, e il ritorno in grande stile nel calcio dei grandi.

L’incontro tra il tecnico goriziano e la compagine rossoblù, breve (durato appena sette mesi) ma intenso, è stato provvidenziale e decisivo come poche altre circostanze della vita sanno essere. Subentrato a fine 2003 a Gian Piero Ventura, raccogliendo l’eredità di un Cagliari dal potenziale mostruoso ancora parzialmente inespresso, il saggio Edy ha inforcato il timone e ha guidato la nave, col vento in poppa, verso una promozione scoppiettante da mille e una notte. Praticamente senza nei: un percorso netto costellato di vittorie, goleade e prestazioni spettacolari che inebriavano i tifosi come le montagne russe di un luna park.

Con un arsenale offensivo a dir poco devastante l’allenatore friulano si è sbizzarrito nell’alternare i tanti attaccanti a disposizione (a volte schierandoli anche tutti insieme appassionatamente), oliando e perfezionando i sofisticati ingranaggi di un’autentica macchina da gol. Il risultato? Un serie A conquistata in carrozza, facendo spellare le mani al pubblico del Sant’Elia e mettendo a referto qualcosa come 80 reti stagionali (miglior attacco della cadetteria, ca va sans dire).

Edy, lei arrivò a Cagliari al posto di Gian Piero Ventura a stagione in corso. Come si concretizzò il suo sbarco in Sardegna alla corte di Massimo Cellino?

“Devo dire che il presidente mi aveva già cercato in passato, ma in quella circostanza avevo declinato l’invito. Mi chiamò proprio in un momento in cui io, sinceramente, pensavo di chiudere la mia carriera, alle soglie dei 60 anni. Invece la mezza stagione a Cagliari coincise con uno straordinario rilancio del mio percorso da allenatore: dopo quella parentesi ebbi modo di affermarmi soprattutto a Napoli e a Roma con la Lazio, vivendo come una seconda giovinezza e togliendomi forse le più grandi soddisfazioni della mia vita. Anche la promozione ottenuta coi rossoblù, tengo a precisare, fu strepitosa. Ricordo che Zola era il mio uomo-spogliatoio: attraverso di lui comunicavo con tutta la squadra. Quando arrivai c’erano un paio di cose da sistemare…”

A questo proposito, che modifiche apportò a livello tattico alla squadra? Quali erano le “cose da sistemare”?

“Innanzitutto parlai individualmente con ciascun calciatore, proponendo tre diversi sistemi di gioco. A ognuno chiesi in che posizione, all’interno di quei tre sistemi, si sarebbe trovato maggiormente a suo agio. Così venne fuori la squadra: praticamente da sola, in modo spontaneo. Giocavamo con Esposito a destra, Zola dietro la punta - che era Suazo - e Langella a sinistra. Avevamo quattro assi straordinari dalla cintola in su. Anche in difesa trovai la quadratura del cerchio con Agostini a sinistra, Modesto a destra e Loria e Festa centrali. E pure a centrocampo avevamo interpreti di qualità.

Facemmo tantissimi punti e segnammo una caterva di reti. Fu un’annata vissuta sempre a tutto gas: tra l’altro i rapporti all’interno del gruppo erano eccezionali. Ci capimmo tra di noi al volo, e instaurammo un feeling naturale. A volte schieravo i quattro uomini d’attacco tutti insieme, varando una soluzione tattica che in seguito sarebbe stata ripresa anche da altri allenatori. Mi dispiace soltanto che l’esperienza si interruppe dopo la promozione: con Cellino non trovammo l’accordo per andare avanti insieme in serie A. Io comunque mantenni i contatti col presidente e col Cagliari anche dopo essermi congedato… per quanto si fosse verificato, a fine stagione, un episodio antipatico che personalmente non ricordo con gran piacere. A dire la verità ci rimasi un po’ male: dopo quell’ ‘incidente’, sinceramente, non potevo che salutare e andare via. Ma meglio non rivangare il passato…”

Edy, chiudiamo con un auspicio per il nuovo Cagliari che, come voi nel 2004, ha riabbracciato la serie A. Dove pensa che possa arrivare la squadra di Ranieri in proiezione futura?  

“Il primo obiettivo dovrà essere una salvezza tranquilla, che peraltro non sarà neanche tanto facile da conquistare. Però in panchina c’è Ranieri, un vero maestro. Un allenatore validissimo non solo sotto il profilo umano, ma anche dal punto di vista tecnico-tattico. L’anno scorso ha compiuto un’impresa incredibile: da quando è arrivato la squadra è cambiata radicalmente. Si è compattata, ha ritrovato concretezza e pragmatismo, unità di intenti e armonia di gruppo. E solidità difensiva: un presupposto imprescindibile per avere successo in serie B. Riuscendo poi a sfruttare al massimo le occasioni create per andare in gol. Proprio come ha fatto a Bari, nella finale playoff.

Altra cosa importante: il Cagliari ha abortito la costruzione dal basso e l’eccesso di palleggio. Esagerare coi passaggi orizzontali significa diventare prevedibili. Oggi si tende a verticalizzare il gioco il più possibile per sorprendere gli avversari: il tiki-taka non esiste più. Chi lo fa è destinato, alla fine dei conti, a muovere la palla senza però guadagnare mai campo. Invece verticalizzando subito dopo aver riconquistato la sfera nella propria metà campo ci si espone magari al rischio di sbagliare qualche giocata, ma se il passaggio riesce ci si ritrova lanciati in porta.

Tra l’altro questo modo di giocare era perfetto per il mio Cagliari, che annoverava dei velocisti micidiali come Suazo, Esposito e Langella. Poi va detto che noi mettevamo in mostra anche un gran bel calcio corale, con tutta la qualità tecnica che c’era in rosa. Era divertente allenare quel gruppo di grandi giocatori.”