UN MIRTO CON... FABIO MACELLARI

UN MIRTO CON... FABIO MACELLARI
martedì 6 giugno 2023, 00:00Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Gian Piero Ventura lo portò con sé, assieme ad altri suoi fedelissimi, da Lecce a Cagliari, per ripetere in Sardegna il capolavoro compiuto in Salento. E la strategia funzionò: per tre stagioni fu la freccia sinistra del Cagliari, tanto abile in fase difensiva quanto micidiale dalla trequarti in su. I suoi cross col contagiri erano musica per gli attaccanti – leggi “Bum bum” Muzzi e Dario Silva prima, Patrick Mboma poi – e anche in fase realizzativa sapeva farsi valere.

Fabio Macellari fu determinante nel 3-5-2 del tecnico genovese e contribuì a fare la fortuna dei rossoblù nel biennio 1997-1999, garantendo una spinta costante sulla fascia e un’attenta copertura sulle ali avversarie.

Il suo ritorno in Sardegna nel 2003 si consumò in una toccata e fuga fatua ed estemporanea senza toccare più i picchi della prima avventura cagliaritana, rimasta nella memoria dei tifosi esattamente come quella squadra scintillante che prendeva a pallonate, soprattutto al Sant’Elia, perfino gli squadroni che all’epoca furoreggiavano in Europa e nel mondo.  

Fabio, quale fu l’approccio con l’Isola al suo arrivo nel 1997? Che ambiente e che squadra trovò dopo la sanguinosa retrocessione dell’anno precedente?

“Beh, intanto vissi come uno shock il fatto di dovermi riconquistare daccapo la serie A, dopo averla raggiunta l’anno prima col Lecce. Però i salentini, a mio avviso, nella massima serie non avevano futuro, e infatti alla fine del campionato retrocedettero.

Ricevetti tantissime chiamate da Cagliari: ricordo quelle di mister Ventura, di Gaetano ‘Tanino’ Vasari, di Marco Sanna. Tutti mi volevano in Sardegna. Alla fine accettai, scesi di categoria ma non ne pentii. Ci misi pochissimo ad innamorarmi dell’Isola e della maglia rossoblù.”

I primi due anni al Cagliari: il campionato in serie B e la successiva, inebriante annata in serie A. La promozione arrivò senza troppo patemi, ma soprattutto in A la vostra squadra sorprese l’Italia intera, rivelandosi una matricola terribile in grado di battere, specialmente in casa, tutte le grandi.

“In cadetteria eravamo uno squadrone, peraltro già collaudato visto che tanti elementi avevano giocato insieme a Lecce nella stagione precedente. Avevamo un’ottima difesa, con Villa a dirigere le operazioni al centro, un centrocampo solido con Berretta che macinava chilometri e sapeva anche fare gol, Muzzi davanti che giocava in tandem con Dario Silva, io e Vasari sulle fasce…

In serie A ci trovavamo a memoria, tanto che in casa battemmo una dopo l’altra Milan, Juventus, Parma e Roma. Pareggiammo con la grande Lazio di Eriksson – ma meritavamo di vincere – e l’Inter ci rimontò solo nel finale con due gol di Ventola, riacciuffando per il rotto della cuffia il 2-2. Chiunque venisse a giocare al Sant’Elia lo mettevamo in mezzo.

Il mister, Ventura, era meticolosissimo e attento a ogni dettaglio. Noi ci accorgevamo che, a furia di mettere in pratica i suoi insegnamenti e i suoi principi di gioco, gara dopo gara ottenevamo sempre grandi risultati. Siamo arrivati ad affidarci totalmente e ciecamente a lui.”

Come spiega la differenza di rendimento in A tra il Cagliari sfolgorante visto al Sant’Elia e la sua versione opaca e sbiadita che andava in scena in trasferta?  

“Ancora oggi non me la spiego. Tante volte mi è stata fatta questa domanda, ma noi eravamo esattamente gli stessi al Sant’Elia e a San Siro, all’Olimpico o a Marassi. Forse era davvero il pubblico, il dodicesimo uomo in campo, a spingerci nelle gare interne e a darci quello sprint in più. Non vedo francamente altre ragioni. Non adottavamo tattiche diverse in casa e in trasferta, non approcciavamo le partite in modo più o meno aggressivo. Probabilmente la nostra discontinuità era dovuta a una certa immaturità di fondo, soprattutto dal punto di vista caratteriale, che tuttavia non ci ha impedito di disputare un campionato con i fiocchi e di arrivare alla fine brillantemente all’obiettivo.”

Stagione 1999-2000: c’erano tutti i presupposti per replicare i buoni risultati dell’anno precedente. Il ritorno in panchina di Tabarez, una rosa che sembrava di tutto rispetto. Perfino rinforzata rispetto a quella che già aveva ben figurato in A. Invece arrivò il cambio di allenatore e, alla fine, una retrocessione che ancora oggi si fa fatica a decifrare.

“Fa ancora male. Ancora di più a livello personale perché, nonostante i risultati negativi, io quell’anno credo di aver disputato la mia migliore stagione in rossoblù. Il mio rendimento fu eccellente, sia dal punto di vista atletico che sotto il profilo tecnico.

Non accettavo di perdere le partite, lottavo come un leone fino al novantacinquesimo, mi sentivo la maglia tatuata sulla pelle. Ero molto deluso per l’andamento della squadra. E sì che avevamo in panchina dei signori allenatori… Quell’annata mi ricorda un po’ la mia esperienza all’Inter: grande squadra gestita male. Molto strano, perché fino ad allora con Cellino tutto era andato per il meglio. Forse erano stati apportati troppi cambiamenti alla rosa, intaccando un po’ l’intelaiatura dell’anno precedente. Troppi nuovi arrivi tutti in una volta. E i punti di riferimento in campo non erano più gli stessi.

Del resto, recuperare tutti quei punti di svantaggio era difficile. O hai la forza di rinascere, come fece ad esempio il Cagliari di Allegri dopo cinque sconfitte consecutive, o altrimenti nel novantanove per cento dei casi perdi colpi, accusi i risultati negativi, smarrisci la serenità e finisci per compromettere il campionato.”

Fabio, segue ancora il Cagliari? Che ne pensa di questo campionato dai due volti, prima piuttosto anonimo con Liverani in panchina e poi esaltante negli ultimi mesi con Ranieri?

“Sono andato a vedere il Cagliari quest’anno ad Ascoli: c’era ancora Liverani. In quell’occasione ho rivisto Muzzi e l’ho salutato con grande affetto. I rossoblù uscirono sconfitti contro un Ascoli, francamente, assolutamente normale e abbordabile.

Il campionato è iniziato male, ma la scelta di riportare Ranieri, un’istituzione in Sardegna, si è rivelata azzeccata. Il mister è un tecnico d’esperienza ed era l’uomo più adatto per traghettare la squadra in quel momento. Mi auguro che riesca a plasmare e a caricare i giocatori a tal punto da spingerli, nella doppia finale playoff col Bari, a riconquistare un posto in serie A.

Per la finale dico vinca il migliore, perché sono sportivo. Ma il mio cuore mi spinge a dire, a voler essere veramente sincero: forza Cagliari!”.