UN MIRTO CON... GIUSEPPE "PIPPO" PANCARO

UN MIRTO CON... GIUSEPPE "PIPPO" PANCAROTUTTOmercatoWEB.com
© foto di Federico De Luca
mercoledì 12 luglio 2023, 01:49Un mirto con...
di Matteo Bordiga

È arrivato portando con sé una qualificazione in Coppa Uefa, è ripartito dopo una dolorosissima retrocessione. La parabola di Giuseppe “Pippo” Pancaro al Cagliari si è compiuta in cinque anni vissuti sull’ottovolante, tra exploit straordinari e qualche rumorosa caduta. Ma il terzino destro di Cosenza, prima di spiccare definitivamente il volo con le maglie di Lazio e Milan, ha lasciato in dote ai tifosi cagliaritani ricordi dolci e inebrianti: uno su tutti il gol del 3-2 all’Inter nella celebre semifinale d’andata di Coppa Uefa del 1994. La rete del sorpasso e della grande illusione.

Giunto in Sardegna nel 1992, fino al campionato 1994-’95 è stato impiegato col contagocce. A partire dall’arrivo di Tabarez, poi, si è preso la maglia da titolare e non l’ha più lasciata. L’esperienza nell’Isola è stata il trampolino di lancio verso una carriera pluridecorata e ricca di soddisfazioni, tra cui svariati trionfi nazionali e internazionali. L’unico, vero rammarico? “Aver lasciato Cagliari dopo l’infausto spareggio del 1997 col Piacenza: fu una delusione tremenda e un enorme dispiacere”.

Pippo, analizziamo ai raggi X i suoi cinque anni a Cagliari: qual è stata la stagione da incorniciare e quale, invece, quella che se potesse cancellerebbe?

“Inizio col dire che dei miei cinque anni in Sardegna non cancellerei nulla. Sono stati anni bellissimi e fondamentali per me e per la mia crescita calcistica. In quel periodo ho costruito le basi per quella che sarebbe stata la mia carriera futura: mi sono formato come calciatore e come professionista. Diciamo che le prime due stagioni sono state le più difficili, perché giocavo poco e faticavo a ritagliarmi spazio. Dal campionato ’94-’95, invece, ho iniziato a scendere in campo con regolarità, fino a conquistarmi la titolarità. Ciononostante serbo ricordi splendidi anche dei primi due anni: tutto il percorso fatto in Sardegna mi è tornato utilissimo quando poi sono sbarcato alla Lazio, una squadra fortissima che giocava per vincere ed era piena zeppa di campioni. Sono arrivato pronto a quell’appuntamento proprio grazie all’esperienza di Cagliari.”

Le ripropongo un’istantanea, ormai piuttosto sbiadita, che tuttavia lei di certo non avrà dimenticato: il gol del 3-2 segnato al Sant’Elia contro l’Inter nella semifinale Uefa. Cosa ricorda di quel momento magico, di quella corsa sfrenata sotto la tribuna dopo aver battuto Zenga, e cosa poi è mancato a suo avviso al Cagliari per completare l’opera a San Siro e approdare in finale?

“Il ricordo è quello di una gioia indescrivibile per un gol così importante e segnato contro un grande avversario come l’Inter e un grandissimo portiere come Zenga. Il Sant’Elia era gremito in ogni ordine di posti: fu straordinario vederlo esplodere ed esultare assieme alla nostra gente. Un momento indimenticabile di pura felicità. Quanto alla gara di ritorno, a mio parere noi facemmo tutto quello che era nelle nostre possibilità. La verità è che l’Inter era più forte. A San Siro, in qualche modo, si ristabilirono le gerarchie e vennero fuori i veri valori tecnici. Noi più di così non potevamo fare.”

Il suo ultimo anno a Cagliari: stagione 1996-’97. Arrivò una retrocessione sanguinosa, e forse anche immeritata dopo un girone di ritorno condotto col vento in poppa. L’errore fu forse quello di esonerare con un po’ di ritardo Gregorio Perez dopo il disastroso avvio di campionato? O furono altre le cause che vi portarono, nonostante un organico assolutamente rispettabile, a sprofondare in serie B?

“Sono passati tanti anni, e francamente non mi sembrerebbe giusto gettare la croce addosso a Gregorio Perez. Il quale, per inciso, era una persona perbene e, a mio avviso, anche un ottimo allenatore. Le colpe, come sempre quando le stagioni prendono una piega sbagliata e non si raggiungono gli obiettivi prefissati, furono di tutti: dalla società al tecnico ai giocatori. Tutti fummo responsabili di quel fallimento.

Personalmente vissi un grande dolore: fu una retrocessione difficile da digerire e molto frustrante. Ecco, tornando alla prima domanda forse, se potessi, cancellerei proprio l’epilogo di quel campionato. Ricordo ancora la delusione profonda della marea umana di tifosi che ci avevano seguito a Napoli per lo spareggio col Piacenza. Fu come un colpo al cuore.

Dal punto di vista tecnico e tattico non avevamo niente da invidiare ad altre compagini che, contrariamente a noi, quell’anno si erano salvate. Con un po’ più di fortuna avremmo sicuramente potuto disputare un altro tipo di campionato. I valori assoluti di quel Cagliari non erano certo da retrocessione in cadetteria.”

Un suo parere sul Cagliari attuale, in fase di costruzione - con un occhio al progetto tecnico e un altro al portafoglio - in vista della serie A. Dove pensa che possa arrivare la squadra di Ranieri e di cosa ha maggiormente bisogno, in sede di mercato, per disputare un torneo da protagonista?

“Questo non saprei dirlo: mi fido senz’altro di Ranieri e dei dirigenti del Cagliari, che sapranno costruire una formazione all’altezza pescando i profili giusti per completare e rinforzare l’organico. Personalmente seguo sempre le vicende dei rossoblù, e sono stato davvero molto felice dell’esito della finale contro il Bari: colgo l’occasione per fare i complimenti di cuore a Ranieri e ai ragazzi, che tutti insieme hanno compiuto un vero capolavoro. Ora l’obiettivo dovrà essere, da neopromossa, il mantenimento della categoria e il consolidamento in serie A. Più avanti, nel tempo, si potranno ridefinire le ambizioni e puntare magari a qualche traguardo più nobile e stimolante.”