UN MIRTO CON... SALVATORE BURRAI
“Nemo propheta in patria”. Il famoso assunto si sposa alla perfezione con le storie di tanti giovani calciatori sardi che, per far germogliare il proprio talento, hanno dovuto abbandonare la terra madre e farsi adottare dal “continente”.
Il sogno calcistico di Salvatore Burrai, originario di Orosei, è decollato proprio oltre Tirreno, lasciando al virtuoso centrocampista isolano appena il tempo di festeggiare il debutto con la maglia del Cagliari, la squadra della sua Sardegna. L’esordio in serie A risale al lontano 2007, ed è stato un fuoco di paglia per quel ragazzo che sperava di rappresentare a lungo i colori rossoblù da (purissimo) gioiello indigeno. Invece, dal “Big Bang” nel calcio dei giganti è iniziato, per lui, un continuo peregrinare in giro per la penisola a caccia di affermazioni e gratificazioni. Le esperienze più significative le ha vissute a Foggia, Latina, Siena e, soprattutto, a Pordenone (quella che lui definisce “la mia seconda casa”) e a Perugia. Oggi Salvatore milita tra le fila del Mantova, e la sensazione tangibile è che le sue qualità tecniche avrebbero potuto fruttargli una carriera ben più scintillante e prestigiosa.
Salvatore, ci racconti come è riuscito a entrare nel mondo dei calciatori professionisti.
“Ho iniziato a giocare a calcio nel mio paese, Orosei. Poi sono entrato nel settore giovanile satellite del Cagliari, in forza alla Puri e Forti di Nuoro. A tredici anni, infine, Gianfranco Matteoli mi ha selezionato per le giovanili del Cagliari e da lì - nel 2001 - è iniziata la mia avventura in rossoblù, fino all’esordio in prima squadra.”
Secondo lei cosa le è mancato per affermarsi definitivamente con la maglia del Cagliari? Tecnicamente è sempre stato un centrocampista completo, capace tanto di impostare l’azione quanto di trovare la via del gol. Magari sarebbe potuto tornare utile anche alla squadra attuale allenata da Claudio Ranieri…
“Oggi i tempi sono cambiati: è molto più facile che un giovane venga lanciato e inserito stabilmente in prima squadra. Quando avevo vent’anni io era un po’ diverso: a me, di fatto, non è mai stata realmente data la possibilità di mettermi in mostra nel Cagliari. Sì, ho esordito in serie A, ma a fine campionato e in una gara poco significativa, con la squadra già salva. Ho fatto un paio di presenze anche negli anni successivi con Allegri in panchina, ma non ho mai avuto l’opportunità di giocarmela al cento per cento. Poi può darsi che io sia maturato tardi, o che all’epoca non fossi pronto. Quel che è certo è che, nel corso della mia carriera, ho avuto la fortuna e il merito di affermarmi lontano dalla Sardegna.”
Pordenone, Perugia, Modena, Foggia, Siena, adesso Mantova. Dove si è trovato personalmente meglio e dove ritiene di aver lasciato maggiormente il segno?
“Conservo bei ricordi di tutte le città in cui ho giocato. In particolare Pordenone è la mia città adottiva, perché ci sono stato per diversi anni e vi ho anche messo radici, comprando casa. Ma non dimentico Perugia, altra piazza importante, e l’esperienza a Foggia nel 2010 con un maestro come Zeman. Adesso qui a Mantova ho trovato una società fantastica, una grande famiglia che mi ha accolto con entusiasmo. Per fortuna stiamo anche andando bene: speriamo di continuare così fino alla fine.”
Lei ha avuto tanti allenatori “di grido”, da Zeman a Massimiliano Allegri. Da chi ha imparato di più e chi ricorda con maggiore affetto?
“Ho avuto tanti mister che insegnavano calcio e altri che invece erano un po’ più ‘gestori’, per così dire. Cito appunto Zeman, Allegri, Tesser, Marco Giampaolo. E non posso dimenticare l’allenatore attuale, Davide Possanzini, che è stato a lungo vice di Roberto De Zerbi e, proprio come De Zerbi, ama proporre calcio, puntare sul palleggio e sulla costruzione del gioco. È un fervido sostenitore delle uscite dal basso, del football manovrato.”
Salvatore, lei continua a seguire le vicende del “suo” Cagliari? Quest’anno, da neopromossa, la squadra ha avuto un impatto quasi scioccante con la serie A. Ora sta vivendo un periodo in chiaroscuro. Come vede i rossoblù in prospettiva da qui a giugno?
“Seguo sempre il Cagliari, di cui rimango un accanito tifoso. Si sapeva che quest’anno sarebbe stato particolarmente difficile: la serie A non è certo la serie B. La sconfitta di Verona ha un po’ intaccato il morale della squadra dopo una serie di gare caratterizzate, tutto sommato, da buone prestazioni. Ma credo che con qualche innesto mirato a gennaio gli isolani possano tranquillamente centrare la salvezza: a guidarli c’è un mister che non ha bisogno di presentazioni, e la permanenza in serie A è un obiettivo alla loro portata.”
Sotto il profilo del gioco gli uomini di Ranieri stentano un po’. Raramente si vede un’azione corale in linea che conduca al tiro in porta, e la manovra appare spesso farraginosa o affidata quasi esclusivamente ai lanci lunghi o ai cross a beneficio delle torri dell’attacco. Non manca, a suo avviso, un po’ di brillantezza nel palleggio e di inventiva – e conseguente imprevedibilità – dalla trequarti in avanti?
“Beh, secondo me per fare un determinato tipo di gioco servono i giocatori adatti. Non vedo certamente un Cagliari da fraseggio o da palleggio: si va subito in verticale, e credo che questa sia l’arma che Ranieri intende utilizzare. In serie B si poteva vedere qualche azione in linea e qualche trama di gioco più limpida, per via della netta superiorità tecnica dei rossoblù rispetto alle avversarie. In serie A il discorso è ben diverso: l’unica carta che può giocarsi il Cagliari per imbrigliare formazioni più quotate è quella della corsa e dell’agonismo.”
Magari potrebbe essere utile nel mercato di gennaio - compatibilmente con le risorse limitate di cui dispone il club - ingaggiare un centrocampista di qualità, per alzare il tasso tecnico del collettivo e avere più varietà di soluzioni offensive.
“Su questo sono d’accordo. In un contesto come quello rossoblù bisogna ambire anche a un certo tipo di giocatori: Cagliari è una piazza importante. Al fianco di elementi abili nella corsa e nel far legna, dei centrocampisti di buona qualità tecnica non possono che essere d’aiuto. Garantirebbero delle geometrie che metterebbero la squadra nelle condizioni di giocare meglio e di rendersi più pericolosa. Chi si occupa del mercato starà sicuramente individuando dei mediani di esperienza in grado di migliorare la fluidità della manovra. Va detto che in rosa ci sono già Viola e Mancosu: calciatori che hanno queste caratteristiche e che danno del tu al pallone. Soprattutto Marco Mancosu quest’anno è mancato a lungo a causa dei problemi fisici che l’hanno perseguitato, ma il Cagliari ha bisogno di elementi di classe come lui.”