UN MIRTO CON... MAURO NARDINI

UN MIRTO CON... MAURO NARDINI
sabato 10 giugno 2023, 00:00Un mirto con...
di Matteo Bordiga

Due sole stagioni in riva al Poetto, ma intense e indimenticabili. Due salvezze ottenute in serie A: quella serie A che annoverava fuoriclasse del calibro di Maradona, Matthaus, Van Basten, Gullit, Klinsmann, Roberto Baggio, Gianluca Vialli e Roberto Mancini. Il gotha del calcio mondiale.

E lui sempre lì, a presidiare la fascia sinistra rossoblù. Sessantaquattro, dal 1990 al 1992, le presenze messe a referto da Mauro Nardini in quella che ancora oggi definisce “la mia terra”. Dopo i due anni in Sardegna ha girovagato per l’Italia fino al 2002, anno in cui si è conclusa la sua carriera di calciatore ed è iniziata quella di allenatore, che l’ha portato – tra le altre esperienze – a fare il vice di Silvio Baldini sulla panchina del Palermo.

Mauro, a trent’anni di distanza cosa le è rimasto della sua avventura in terra sarda?

“Ricordi meravigliosi della città, dei tifosi e della gente. Mi sono trovato splendidamente dal punto di vista ambientale ma anche da quello sportivo: abbiamo ottenuto due salvezze difficili, sofferte ma meritate.

L’immagine che mi viene in mente è quella della marea di tifosi che ci salutavano all’uscita dallo stadio, manco fossimo delle star! In generale il rapporto con la gente di Cagliari mi è rimasto nel cuore.”

Il suo ritratto di Ranieri, Giacomini e Mazzone, i tre tecnici che ha avuto al Cagliari.

“Di Ranieri ricordo che dopo la gara di Torino con la Juve, pareggiata 2-2 rimontando da uno 0-2, entrò in campo, ci guardò e ci disse: ‘Noi ci salviamo!’. Lo fissammo tutti con gli occhi sgranati e con un pizzico di scetticismo, ma aveva ragione lui. Aveva visto che la squadra era in crescita e che stava ponendo le basi per una fantastica rimonta-salvezza.

Con Giacomini iniziammo bene, battendo in casa per 3-2 addirittura la Sampdoria Campione d’Italia. Poi non so francamente cosa non funzionò: le cose non andarono bene. Il mister era un uomo a modo, una persona squisita con la quale avevamo anche un bel rapporto.

Poi arrivò Mazzone, che ci condusse a una salvezza relativamente tranquilla e ci fece pure togliere delle belle soddisfazioni. Nel girone di ritorno facemmo dei risultati importanti. Era un tecnico caratterialmente diverso da Ranieri: Claudio era più posato, più pacato, mentre Mazzone era impulsivo e sanguigno. Qualche volta si spingeva anche un po’ in là con le parole… ma lo faceva per stimolarci, per tirare fuori il meglio da ciascuno di noi. Personalmente ho imparato tanto sia da lui che da Ranieri.”

Lei ora fa l’allenatore in giro per l’Italia. Ha già parecchie esperienze nel suo bagaglio professionale.

“Sì, fino a giugno sono sotto contratto con il Palermo. Però poi mi piacerebbe, sinceramente, trovare una squadra in Sardegna, per tornare in quella che definisco ‘la mia terra’, il posto del quale mi sono innamorato.

Per diversi anni ho collaborato con Silvio Baldini, facendo il suo vice a Carrara e a Palermo. Ora vorrei intraprendere un percorso da primo allenatore.”

Per il quale le facciamo i nostri migliori auguri. Venendo all’attualità, ha visto la gara di ieri del Cagliari contro il Bari? Cosa è mancato ai rossoblù per ottenere un risultato migliore?

“A volte giocare in casa può rivelarsi un’arma a doppio taglio: davanti a ventimila persone, in un’atmosfera così infuocata, con in testa un obiettivo così importante… sai, in queste circostanze la tensione può giocarti dei brutti scherzi. Io credo che il Cagliari abbia accusato la pressione: dopo il gol di Lapadula la squadra era contratta, ha sbagliato diversi palloni. Non giocava in scioltezza, con la mente sgombra. Quasi come se avesse paura di vincere. Secondo me si è trattato proprio di un problema di carattere mentale legato all’approccio alla partita e alla situazione ambientale. Non a caso il migliore in campo è stato sicuramente Radunovic.

Ma io dico che la gara di ritorno sarà completamente diversa. Sappiamo che Ranieri è abituato a gestire la pressione, e alle sfide da dentro o fuori. E per i ragazzi rossoblù giocare a Bari davanti a cinquantamila persone che gli urleranno contro potrebbe essere uno sprone a tirare fuori il duecento per cento.

Ranieri è un maestro nell’infondere tranquillità ai giocatori e nel creare quella magia, quell’alchimia che ti consente di ottenere risultati anche insperati, di compiere imprese memorabili. Insomma, non tutto è perduto. Anche se ovviamente il Cagliari deve fare la partita della vita per strappare la promozione in serie A. Al San Nicola la squadra dovrà tirare fuori tutto il suo valore ed esprimere quelle qualità che giovedì, sinceramente, non si sono viste.

Però, ripeto, giocare fuori casa può essere un vantaggio. Anche a me era capitato, col Palermo, di vincere in trasferta a Chiavari contro l’Entella e poi, sotto il peso dei quarantamila del Barbera, andare sotto di due reti in casa nella gara di ritorno. Per fortuna segnammo due gol nel finale e passammo il turno, ma questo fa ben capire quanto sia importante il pubblico, e la pressione che ti mette addosso, sia in senso positivo che in senso negativo.

Il Bari non credo sia superiore al Cagliari. Sono due squadre che si equivalgono. Solo che il Bari giovedì giocava con la testa e il cuore più leggeri.”

Che ne pensa dei due rigori assegnati ai galletti? Le chiediamo il suo parere di ex difensore: c’erano entrambi?

“Il primo, quello di Nandez, secondo me non può essere mai rigore. È assurdo fischiare dei rigori così: ora c’è questa moda di punire il difendente se non difende con le mani dietro la schiena, snaturando i suoi movimenti e andando contro le più naturali leggi della fisica. La trovo veramente una regola ridicola, che dovrebbe essere cambiata al più presto. Non si può pretendere che un difensore, nel saltare, non possa usufruire della spinta delle braccia, che gli servono per darsi slancio, forza ed equilibrio. Ai miei tempi rigori così non sarebbero mai stati assegnati.

Diverso il discorso per il fallo di Altare: il rossoblù si è messo male col corpo, non vedeva l’avversario che arrivava alle spalle e ha fatto rigore. Ma anche lì: non c’era certo intenzionalità, ma solo la volontà di prendere la palla. Oggi questi contatti vengono sanzionati con un po’ troppa severità. Credo che trent’anni fa anche sull’intervento di Altare l’arbitro avrebbe soprasseduto.

Le ragioni di queste regole così innaturali e antiposturali? Il fatto che vengono stabilite da burocrati, da gente che non ha mai giocato a pallone e che non conosce le dinamiche e le logiche dello sport. Altrimenti saprebbe che non si può saltare senza darsi slancio con le braccia.”